La vita sulla striscia di Gaza
Di coraggio, Stefano Savona, ne ha da vendere. Sempre in prima linea dove la storia scotta (da Primavera in Kurdistan a Tahrir), il regista palermitano non è di quei documentaristi che va ad assaggiare il tema esotico e poi torna in fretta e furia a casa sperando nel plauso generale.
Come Roberto Minervini e (pochi) altri, prima si inserisce nella comunità o nella situazione di riferimento, poi decide che cosa fare, a meno che l’urgenza rivoluzionaria non lo spinga ad accendere semplicemente la telecamera e dare testimonianza degli avvenimenti.
Sul film documentario «Piombo fuso» Savona aveva raccontato la violenza dell’omonima azione militare israeliana ai danni dei palestinesi, stavolta va a trovare una famiglia di contadini che è stata decimata dagli attacchi, per raccontarne la rielaborazione del lutto, il ricordo divenuto racconto, la festa di matrimonio che dona qualche piccola speranza di serenità futura.
Le novità vengono da come il regista sublima e supera le convenzioni della non fiction: da una parte chiede al bravo animatore Simone Massi di disegnare i flashback della tragedia e dall’altro usa droni e finti linguaggi digitali per ricostruire avvenimenti veri. Insomma, Savona mette a processo il «cinema del reale» e non si accontenta di stanche riflessioni sui confini della verità.
Piuttosto si prende tutta la libertà creativa del caso per fare ciò che vuole, e ciò che reputa importante per il risultato, ovvero spiegare l’atrocità di quanto accaduto e metterci nelle condizioni di empatizzare (senza ricatti morali) con i sopravvissuti e con le vittime.
E forse «La strada dei Samouni» apre gli occhi su chi siano le vittime in Medio Oriente assai meglio di tante manifestazioni ideologicamente schierate.