«Riccardo 3» in chiave moderna Nessun trono, una sedia a rotelle
Il dramma di Shakespeare per Niccolini diventa l’incubo di un uomo di oggi
Uno stanzone dai colori ospedalieri. Una sedia a rotelle con sopra un uomo, forse un paziente offeso nel corpo, forse un malato di mente da sedare. Finestroni dai quali, sotto un iniziale rumore di pioggia, appaiono ombre, spettri della coscienza che si trasformeranno in killer o in personaggi da eliminare.
Percorre molti territori di confine «Riccardo 3. L’avversario» di Francesco Niccolini, drammaturgo che ha lavorato con Marco Paolini e con altri protagonisti della scena innovativa. Trasforma il dramma di Shakespeare dedicato allo sciancato re della casata degli York nell’incubo di un uomo di oggi.
A leggere il testo sembrerebbe un possibile «Riccardo III» alla maniera dei Simpson, un fumetto ironico che accentua i lati splatter dell’originale eliminando i momenti di passaggio, concentrando i tempi, affidando la molteplicità di figure che costellano l’azione, re, regine, principini, a due soli interpreti, che le indossano come maschere, di volta in volta distaccate, ironiche, accademiche... Ombre, ossessioni di una personalità alterata che si inerpica per sentieri scoscesi nel bosco oscuro del delitto, della scalata del potere a tutti i costi.
Il protagonista è Enzo Vetrano; i suoi interlocutori dalle molte facce differenti sono Stefano Randisi, che con lui firma la regia, e Giovanni MoRandisi schella, nell’impianto scenico di Mela Dell’Erba con le luci ora opache, con un tocco allarmante, ora espressiviste di Max Mugnai, in una nuova produzione Ert.
e Vetrano negli ultimi anni hanno perseguito un teatro di surrealismo magico e umano, affrontando testi di quel profondo poeta barbarico dei vicoli di Palermo che era Franco Scaldati. E si erano rivelati negli anni settanta col Teatro Daggide in un «Ubu re» i cui personaggi erano mostriciattoli simili a palle, incarnazioni di perfidie e feroci violenze.
Questo «Riccardo 3», ispirato, leggiamo, anche ai crimini di Jean-Claude Romand raccontati da un romanzo di Carrère e da un film, sembra abbandonare in parte quelle strade, senza sceglierne una unica. Suggerisce il delirio psichico, si offre come prova di grande attore per Vetrano, che svaria tra la convinta, compunta interpretazione drammatica e la rottura della maschera attraverso scatti di follia, incarnanti quasi un incontenibile ribollire naturale che spinge al male.
Diventa il fumetto splatter di cui si diceva, accendendosi di toni grotteschi, per poi tornare a una versione rimeditata del teatro all’antica italiana, che esalta il mattatore al di sopra del senso, da subito esplicito.
Rende veloce, moderno, il testo shakespeariano, facendone cogliere immediatamente i nessi, ma lo semplifica, riducendolo per altro in una cornice non sempre sostenuta con coerenza.
Ci rapisce in bei momenti d’attore, insinuando a volte il sospetto del sublime manierismo.