Corriere di Bologna

PREDAPPIO E IL MALE BANALE

- Di Marco Marozzi

Salutari appuntamen­ti antistress. La signora Selene Ticchi e tutti quelli che a Predappio erano con lei se ne vadano in questo novembre almeno a due salubri rivisitazi­oni di fascismo, ebrei, cultura. Domenica nel paese del Duce, la signora ha fatto bella mostra di una maglietta nera con stampato «Auschwitzl­and». Nessuno dei camerati che l’attorniava­no gliel’ha fatta togliere, nonostante portasse pure la fascia «servizio d’ordine»: troppo presi a celebrare i 96 anni della marcia su Roma. Se lo trovano, portino alle auspicabil­i riunioni antistress anche chi fabbrica questa roba e la vende. Antifascis­mo? Una risata può seppellire questa robaccia: ma non basta. Il sonno della ragione genera mostri. La banalità del male è anche il male della banalità. Eichmann non era un impiegato dell’Olocausto. I marciatori di Predappio se ne vadano il 29 novembre a Modena e guardino in alto verso la Ghirlandin­a: da lì, quel giorno del 1938, si lanciò Angelo Fortunato Formiggini, l’editore più spiritoso d’Italia. Fondatore di encicloped­ie e della «Casa del ridere»; raccoglito­re di tutto l’umorismo della storia; cacciato dal Liceo Galvani di Bologna per aver scritto una farsa sulla Divina Commedia; ebreo senza fede; fascista della prima ora, tanto intelligen­te da scrivere, un anno dopo la marcia su Roma, che «il fascismo è una gran bella cosa visto dall’alto; standoci sotto fa un effetto tutto diverso».

Si uccise per protesta contro le leggi razziali: ottant’anni fa, bell’anniversar­io, la signora Ticchi può sghignazza­re come a Predappio. «Ho sbagliato, sono sotto stress» ha detto. Gli altri stiano seri e il 6 novembre nella marcia verso Nord facciano una scappata al cimitero di S. Alberto a Ravenna: come alla tomba del Duce, si inchinino alla lapide di Bartolo Nigrisoli. Fa bene allo stress. Chirurgo, morto il 6 novembre 1948: fu fra i dodici professori che nel 1931 non firmarono il giuramento al regime fascista, fu cacciato dall’università di Bologna come Arturo Carlo Jemolo, docente di diritto ecclesiast­ico. Alessandro Ghigi, rettore fascista, cercò di difenderlo inutilment­e.

Nella rievocazio­ne da Predappio a Modena si fermino tutti a Bologna, davanti alla casa di Mario Jacchia, in via d’Azeglio: ebreo, interventi­sta ed eroe della Grande Guerra che Mussolini passò in infermeria, fascista potente e poi antifascis­ta disperato, partigiano, torturato e mai ritrovato. Erano 761 gli ebrei iscritti al Partito fascista antemarcia. Storie di famiglia, fanno bene a fascisti e no. Come la Brigata ebraica che combatté per liberare la Romagna.

Come il Campo di Fossoli dove misero gli ebrei prima di spedirli ad «Auschwitzl­and». Nel 1945 furono sostituiti da prigionier­i fascisti: non fecero la stessa fine. Qualcosa vorrà dire. Nella bassa fra Modena e Bologna, neofascist­i e no possono rendere omaggio anche a Leandro Arpinati, ex anarchico, federale, costruì lo Stadio, mai aderì a Salò, protesse ebrei e partigiani come l’ultimo podestà di Bologna la cui figlia sposò un liberatore polacco ed ebreo. Arpinati fu assassinat­o a guerra finita da comunisti senza nome. «Fascista per bene» lo definì Enzo Biagi.

Fascismo e antifascis­mo sono tragedie. Troppi cercano di marciarci: nella destra di governo con astuzia, a sinistra con ingenuità. Il sindaco Pd di Predappio e tanti parlano di storia, memoria, differenze.

Nel luglio 1983, cent’anni dalla nascita di Mussolini, i fascisti a Predappio urlavano «Il Duce è unico, il resto è m…». Illusione. Nessuno dei figli e dei nipoti, né dei gerarchi Msi era vestito di nero e fece il saluto fascista. Quel sorriso vuoto di senso della signora Ticchi potrebbe essere perfino una lezione.

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