Nel salotto dei cattolici illuminati
L’Europa, un Papa dimenticato e appena fatto santo e — come fondale etico e culturale — una famiglia. Matteo Zuppi in un pomeriggio tira le fila di una storia pubblica che ne narra anche una privata. L’arcivescovo presenta il rinnovo della convenzione fra Unibo, Facoltà teologica regionale e Studio filosofico domenicano, parla di pace e dei «sogni coraggiosi» dei padri dell’Europa, passa per papa Bergoglio, arriva a «San Paolo VI», pontefice complicatissimo, schiacciato fra predecessori e successori. Filo di congiunzione una visione planetaria in cui tutto si tiene: cominciando da Enrico, babbo di Zuppi, dal ’47 al ’79 direttore dell’«Osservatore della Domenica», amico di Giovanni Montini quando ancora stava a Milano, autore di un bellissimo libro di amore planetario per Carla Fumagalli, la mamma dell’arcivescovo, nipote di Carlo Confalonieri, immenso cardinale del Concilio. Una famiglia del cattolicesimo illuminato lombardo di Alessandro Manzoni che arriva a Roma, ne è conquistata e la conquista, fino a Sant’Egidio, di cui Zuppi è uno dei punti di riferimento. Istituto Veritatis Splendor, accanto alla Fondazione Lercaro. Ci sono il ministro degli Esteri Enzo Moavero, il suo omologo vaticano Paul R. Gallangher (anche lui cita Papa Montini), il rettore Francesco Ubertini e il professor Filippo Andreatta. In sala Vittorio Prodi, che fu eurodeputato, e Alberto Melloni dell’Istituto di Scienze religiose. Tonache di preti colti, pochissimi professori, nessun politico. Fotografia di come va il mondo, oltre i cattolici-europeisti sul palco. Zuppi al solito istruisce gli assenti: arriva in Europa partendo da al-Azhar, «La luminosa», Il Cairo, «università antica quanto Bologna». Lui l’ha portata sotto le Due Torri per confrontarsi su vie e incontri: «Le religioni senza cultura sono pericolose». Chiama a «identità», «laicità profonda». Evoca «l’Europa dei diritti, e dei doveri». «L’Europa se è solo mercato, avrà bisogno di un padrone». E ringrazia Moavero, che fu funzionario in Europa con Prodi, a Roma con Monti e Letta, di aver portato a Marzabotto «il suo collega tedesco».