I PARADOSSI DELLA SFIDA ALL’UNIONE
Sta diventando sempre più evidente che la somma di due mezzi-popolo (anzi di due terzi-dipopolo) non fanno il Popolo. Che la pentola del contratto di governo continua a cuocere una minestra dove i peperoni verdi della Lega restano distinti dai pomodori dei 5stelle e difficili da digerire assieme. È qui che, alla fine, va cercata la ragione di una manovra di bilancio inadatta a perseguire l’obiettivo di voler riportare l’Italia su un sentiero di crescita duratura del reddito e, finalmente, dell’occupazione. Quel che è peggio è che una manovra tanto debole è fondata su una inutile sfida aperta alle regole europee. Inutile: sempre che, al di là delle professioni di fede europea di Conte e Di Maio (Salvini, distratto) non se ne apprezzi invece la compatibilità con il piano B: quello della crisi finanziaria cercata per giustificare una traumatica uscita dall’euro. Eppure sarebbe stato (sarebbe ancora?) possibile fare diversamente: puntare a una crescita più rapida, robusta e strutturale con la collaborazione dell’Unione Europea. Una collaborazione non da chiedere in ginocchio, ma da pretendere in nome del comune interesse europeo. Quello certificato da regolamenti comunitari approvati per costruire entro il 2030 le reti transeuropee di trasporto, energetiche e di telecomunicazione; reti utili all’intera Unione e alla unificazione del suo mercato interno, che rimane il solo obiettivo che neanche i sovranisti contestano.
Solo per completare la rete transeuropea dei trasporti lungo i quattro corridoi che interessano l’Italia sono stati già dichiarati di «comune interesse europeo» progetti «italiani» per circa 70 miliardi di euro di investimenti da realizzare entro il 2030 (entro quella data, e quindi anche prima, anche domani). Si tratta: lungo il corridoio scandinavo mediterraneo, delle opere che vanno dal tunnel ferroviario del Brennero ai porti siciliani di Augusta e Palermo; lungo il corridoio Mediterraneo, dei progetti che vanno dalla Tav Torino-Lione all’Alta Velocità da Verona a Trieste ed oltre; lungo il corridoio Reno-Alpi le opere per collegare il porto di Genova alla Svizzera via Terzo valico dei Giovi e la Gronda ; e lungo il corridoio adriatico baltico le opere per collegare alla ferrovia gli aeroporti di Venezia e Bologna e per attrezzare i porti di Ravenna, Trieste e Venezia, anche con il porto d’altura fuori della laguna. Quanto sarebbe stato (sarebbe?) più utile sfidare l’Unione europea, nel rispetto formale delle regole su deficit e debito, a cofinanziare, o a riconoscere finanziabili dall’Italia senza vincoli, opere che sono di indiscusso «interesse comune europeo»? Il paradosso al quale assistiamo è che la Lega favorevole alla realizzazione della maggior parte delle infrastrutture «europee» a Bruxelles cerca lo scontro invece della collaborazione, mentre il M5S più disposto a collaborare con l’Unione ha «promesso» di opporsi alle opere in questione.