«La mia Bologna non c’è più»
Raffaele Pisu oggi ritirerà il Turrita d’Oro. «Il mondo è cambiato. Il mio incontro con Mattarella. I miei film piacciono ancora ai giovani»
Lassù, nell’Olimpo dei grandi. Raffaele Pisu, 93 anni, è un monumento vivente della commedia all’italiana. E oggi la sua città gli renderà omaggio. L’attore bolognese riceverà alle 16 a Palazzo d’Accursio la Turrita d’Oro.
Raffaele Pisu, la sua vita riserva sempre delle sorprese...
«Quando uno pensa di andare in vacanza gli suona il telefono e gli propongono di passare dieci mesi in Russia con 10 gradi sotto zero. È quello che mi successe con il regista Giuseppe De Santis più di 50 anni fa, quando mi chiese di recitare in “Italiani brava gente”. Dissi sì. Mi ha cambiato la vita».
Pellicola restaurata da poco, presentata al Festival di Roma e che domani sarà alla Cineteca di Bologna.
«A Roma è stato un grande successo, a differenza di quando uscì nel ‘60. Forse allora dette fastidio all’esercito, a qualche ex fascista: la guerra era finita da appena 15 anni. È stato bello sentire le domande di tanti giovani»
Gli ultimi due anni, dopo lo straordinario incontro con suo figlio naturale Paolo Rossi, per lei sono stati vivacissimi…
«Lui mi ha spronato: “Cosa fai lì in casa? Datti una mossa, puoi ancora lasciare il segno”. Creativo e imprevedibile, in questo siamo simili. Lui però ha i soldi»
E infatti con la sua casa di produzione Genoma le ha fatto fare un film, protagonista con la Cardinale, «Nobili Bugie».
«E’ stato bello lavorare con lui e con l’altro mio figlio Antonio che ha fatto il regista. Altra situazione impensabile»
Oggi riceve la Turrita d’Oro.
«Mi sa che me la danno perché nel primo dopoguerra creammo il piccolo teatro di Bologna cioè La Soffitta. Portammo in scena Il Tartufo di Molière».
Ma per lei Bologna cosa rappresenta?
«Se il Bologna calcio è una fede, Bologna città è un sogno: quella che conoscevo non c’è più, ma è cambiato tutto il mondo, lo so»
Dove è cresciuto?
«Piazza Aldrovandi, si giocava tutto il giorno. Ogni tanto passava Giorgio Morandi, “quello che disegna solo delle bottiglie”, lo prendevamo in giro in dialetto. Avevo cominciato un libro su Bologna che iniziava col ricordo di un bombardamento, un fatto vero: correvo in via Indipendenza saltando sopra persone morte, mi rifugiai in una cantina, ma sulla porta c’era un ragazzino incastrato, allora m’infilai nel palazzo davanti e a fine bombardamento uscii e il primo edificio non c’era più. Nel ’50 me ne andai a Roma, però tifo sempre per i rossoblù, vorrei solo che giocassero per vincere e non per pareggiare come fanno oggi».
Un ricordo professionale indimenticabile?
«Io e Gino Bramieri in centro a Milano, incontriamo un medico del San Raffaele, “in quell’ora in cui lavorate i miei malati si dimenticano i loro mali”. Si riferiva a “L’Amico del Giaguaro”. Capimmo che servivamo a qualcosa»
Poche settimane fa è stato ricevuto da Mattarella.
«Ci siamo divertiti. “Lei è uno scoglio in un mare in tempesta, tenga duro”, gli ho detto»
Progetti per il futuro?
«Una bara di due metri con due remi per andare in Sardegna. E forse un altro film con i miei figli».