IL VALORE POLITICO DELLE BICI
Incremento delle presenze turistiche veicolato dalle compagnie aeree a basso prezzo, crisi del mercato degli affitti rivolti agli studenti, proliferazione in centro di locali per bere e mangiare: di fronte alle forme più appariscenti della mutazione di Bologna in città globale si ha proprio l’impressione che il governo locale sia costretto a giocare sulla difensiva, di semplice rimessa. In qualche misura è inevitabile, nel senso che accade a Bologna e per Bologna quel che accade oggi a tutte le altre città del mondo. Ma accade in forma diversa, e proprio nella comprensione di tale diversità si gioca, oggi, la possibilità che la nostra città conservi in futuro il proprio carattere petroniano, la propria distintiva individualità. Cioè la risorsa più preziosa all’interno del mondo globalizzato.
Al riguardo, piuttosto che continuare a contare il numero dei graffiti sui muri o quello dei tavolini sotto i portici sarà bene osservare con più attenzione il destino delle piccole bici arancione che da quest’estate sciamano «con entusiasmo» per le nostre strade e non solo, raccogliendo in tal modo l’invito del Comune e dei proprietari cinesi della Mobike, la piattaforma di velocipedi più grande e tecnologicamente avanzata che esiste. La ragione di tale interesse è semplice: proprio a queste biciclette è affidato il compito di avviare, in maniera evidente, il processo di conversione dell’organismo urbano bolognese in un aggregato “smart”.
Detto in altre parole: come oggi usa dire, gestito cioè in base alla logica computazionale degli algoritmi su cui si fonda appunto il funzionamento globale del mondo. E d’altra parte un algoritmo è, proprio come quello di una bici, nient’altro che un percorso, di cui si conosce in anticipo il punto d’arrivo. La grande differenza consiste nel fatto che i percorsi in bicicletta sono materiali, cioè visibili, e di norma decisi dal ciclisti stessi. Gli algoritmi sono invece immateriali cioè invisibili, dunque fuori dal potere decisionale di chi agisce, che può soltanto subirli. Il vero ruolo delle intelligentissime biciclettine arancio e argento ( in realtà computer travestiti da biciclette) è quello di trasformare i concreti percorsi in algoritmi. Perciò esse svolgono un lavoro politico fondamentale e decisivo, tanto più strategico proprio in quanto inavvertito. E illustrano a meraviglia quel che deve davvero intendersi per intelligenza dal punto di vista delle forze globalizzanti: la cattura di funzioni vitali localmente radicate, come in questo caso l’andare in bici, per trasformarle in dati da immettere in un sistema operativo planetario del tutto opaco sotto il profilo del controllo. Pedalando e ancor prima pagando per pedalare, sono gli stessi ciclisti a produrre le informazioni funzionali al potenziale esproprio dei propri diritti decisionali, alla possibile messa in discussione, all’orizzonte, del proprio statuto di cittadino. È come all’Ikea, dove già chi acquista paga per lavorare, una volta tornato a casa. Ma almeno lo si sa, e il prodotto del proprio lavoro resta in tal caso a disposizione del lavoratore. Si spiega in tal modo la tendenza, rilevata di recente non solo a Bologna a parcheggiare le Mobike non già negli appositi stalli ma nel cortile o nel garage della propria abitazione, privatizzandone in tal modo la disponibilità. E ciò anche a segno dell’intenzione di domesticazione del mezzo, della sua inclusione nell’ambito della sfera della vita quotidiana. In altre città europee, come a Parigi ad esempio, la reazione in passato è stata diversa, e cumuli di cicli intelligenti, distorti e resi inservibili, costellano non di rado gli incroci delle strade. Il segnale che arriva dalla nostra città è invece diverso, ambiguo senza essere violento. Esso si situa proprio sulla soglia tra il comportamento della vecchia cittadinanza e della nuova, quella soglia da cui chi governa Bologna farebbe bene a non allontanarsi mai.