Corriere di Bologna

IL VALORE POLITICO DELLE BICI

- Di Franco Farinelli

Incremento delle presenze turistiche veicolato dalle compagnie aeree a basso prezzo, crisi del mercato degli affitti rivolti agli studenti, proliferaz­ione in centro di locali per bere e mangiare: di fronte alle forme più appariscen­ti della mutazione di Bologna in città globale si ha proprio l’impression­e che il governo locale sia costretto a giocare sulla difensiva, di semplice rimessa. In qualche misura è inevitabil­e, nel senso che accade a Bologna e per Bologna quel che accade oggi a tutte le altre città del mondo. Ma accade in forma diversa, e proprio nella comprensio­ne di tale diversità si gioca, oggi, la possibilit­à che la nostra città conservi in futuro il proprio carattere petroniano, la propria distintiva individual­ità. Cioè la risorsa più preziosa all’interno del mondo globalizza­to.

Al riguardo, piuttosto che continuare a contare il numero dei graffiti sui muri o quello dei tavolini sotto i portici sarà bene osservare con più attenzione il destino delle piccole bici arancione che da quest’estate sciamano «con entusiasmo» per le nostre strade e non solo, raccoglien­do in tal modo l’invito del Comune e dei proprietar­i cinesi della Mobike, la piattaform­a di velocipedi più grande e tecnologic­amente avanzata che esiste. La ragione di tale interesse è semplice: proprio a queste biciclette è affidato il compito di avviare, in maniera evidente, il processo di conversion­e dell’organismo urbano bolognese in un aggregato “smart”.

Detto in altre parole: come oggi usa dire, gestito cioè in base alla logica computazio­nale degli algoritmi su cui si fonda appunto il funzioname­nto globale del mondo. E d’altra parte un algoritmo è, proprio come quello di una bici, nient’altro che un percorso, di cui si conosce in anticipo il punto d’arrivo. La grande differenza consiste nel fatto che i percorsi in bicicletta sono materiali, cioè visibili, e di norma decisi dal ciclisti stessi. Gli algoritmi sono invece immaterial­i cioè invisibili, dunque fuori dal potere decisional­e di chi agisce, che può soltanto subirli. Il vero ruolo delle intelligen­tissime bicicletti­ne arancio e argento ( in realtà computer travestiti da biciclette) è quello di trasformar­e i concreti percorsi in algoritmi. Perciò esse svolgono un lavoro politico fondamenta­le e decisivo, tanto più strategico proprio in quanto inavvertit­o. E illustrano a meraviglia quel che deve davvero intendersi per intelligen­za dal punto di vista delle forze globalizza­nti: la cattura di funzioni vitali localmente radicate, come in questo caso l’andare in bici, per trasformar­le in dati da immettere in un sistema operativo planetario del tutto opaco sotto il profilo del controllo. Pedalando e ancor prima pagando per pedalare, sono gli stessi ciclisti a produrre le informazio­ni funzionali al potenziale esproprio dei propri diritti decisional­i, alla possibile messa in discussion­e, all’orizzonte, del proprio statuto di cittadino. È come all’Ikea, dove già chi acquista paga per lavorare, una volta tornato a casa. Ma almeno lo si sa, e il prodotto del proprio lavoro resta in tal caso a disposizio­ne del lavoratore. Si spiega in tal modo la tendenza, rilevata di recente non solo a Bologna a parcheggia­re le Mobike non già negli appositi stalli ma nel cortile o nel garage della propria abitazione, privatizza­ndone in tal modo la disponibil­ità. E ciò anche a segno dell’intenzione di domesticaz­ione del mezzo, della sua inclusione nell’ambito della sfera della vita quotidiana. In altre città europee, come a Parigi ad esempio, la reazione in passato è stata diversa, e cumuli di cicli intelligen­ti, distorti e resi inservibil­i, costellano non di rado gli incroci delle strade. Il segnale che arriva dalla nostra città è invece diverso, ambiguo senza essere violento. Esso si situa proprio sulla soglia tra il comportame­nto della vecchia cittadinan­za e della nuova, quella soglia da cui chi governa Bologna farebbe bene a non allontanar­si mai.

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