Gli emiliani in prima fila ritornano da Renzi
Qualcuno, alla fine, se n’è andato scuotendo un po’ la testa. «Siamo arrivati a Salsomaggiore senza un nostro candidato e ce ne andiamo senza un nostro candidato». Ma quantomeno si è chiarita la linea della corrente-non-corrente che fa capo all’ex premier Matteo Renzi. «L’avversario non è Zingaretti e il mondo non finisce con questo congresso», ha detto Renzi ai quasi 400 Dem riuniti ieri nel Teatro Nuovo di Salsomaggiore per la chiusura della convention dei suoi fedelissimi. Ma tra assenze annunciate (Matteo Richetti e Stefano Bonaccini su tutti) e sorprese dell’ultimo minuto (l’arrivo dell’ex ministro Graziano Delrio), i renziani emiliano-romagnoli dal palco hanno confessato i loro timori per il partito. E si sono tolti anche qualche sassolino dalle scarpe nel dibattito a porte chiuse che ha preceduto l’intervento dell’ex premier.
Il più duro tra gli eletti in Emilia-Romagna è stato Luigi Marattin, economista dell’Università di Bologna e capogruppo pd in commissione Bilancio: «Io me li ricordo i dirigenti del partito, in questa regione, che quando arrivava Matteo si distendevano come uno zerbino tatuandosi Renzi sulla schiena e poi facevano iniziative con la Cgil contro il Jobs act...». Qualcun altro, come Damiano Zoffoli, ha cercato similitudini più ardite. «Il Pd è nell’età dell’adolescenza: o decide di proseguire sulla strada del riformismo — ha detto l’europarlamentare — o si perde, come rischiano di fare tanti ragazzi in un’età difficile». I consiglieri regionali Giuseppe Paruolo e Manuela Rontini, seduti in prima fila proprio accanto a Maria Elena Boschi, hanno preferito ascoltare: prima i compagni di partito, poi il loro leader riconosciuto.
Ma alla fine sono usciti dal Teatro Nuovo con un sapore diverso in bocca. «Io sono molto soddisfatta: Matteo non ci ha chiesto di pazientare — ha sottolineato Rontini — ma ci ha riportati tutti, con un intervento appassionato, alla dimensione ideale e valoriale della politica. Quella più autentica». Però il nodo del candidato da sostenere al congresso, visto che Marco Minniti resta in surplace, per qualcuno forse andava sciolto, visto che manca meno di una settimana dall’assemblea nazionale. «Il discorso di Renzi? L’ho trovato utile come riflessione sul medio lungo periodo, un po’ meno nell’immediato», ha commentato Paruolo.
Di certo, come la assenze di Stefano Bonaccini e Matteo Richetti, ha lasciato un segno anche l’arrivo di Delrio. «Non potevo mancare», ha detto l’ex ministro abbracciando vecchi compagni di strada, per quanto la prospettiva di sostenere Minniti non l’abbia mai esaltato.
In platea sono spuntati anche i volti dei segretari Paolo Calvano (regionale) e Luigi Tosiani (bolognese), entrambi in visita «istituzionale», per così dire. A chiudere la porta per ultimo, come ogni buon padrone di casa, il deputato bolognese Gianluca Benamati, che ha organizzato la macchina di quella che è stata di fatto la prima vera riunione dell’area Renzi.
«Molti sentivano da tempo la necessità di un evento del genere. È stata una riflessione che andava fatta e che ha soddisfatto un bisogno importante di una parte significativa del Partito democratico», ha rivendicato Benamati. Poco importa che manchi ancora una candidato dell’ortodossia renziana per il congresso: «Quello che conta è che abbia indicato che la priorità è il bene del Paese e che all’interno del congresso, dove non ci sono nemici, serve una visione riformista».