La crisi del cinema nei ‘90
Ècuriosa l’irritazione che ha suscitato questo ultimo film di Paolo Virzì, Notti magiche. Gliene hanno dette di tutti i colori, principalmente che si tratta di una sciocchezzina autobiografica e di un’opera caricaturale.
Caricaturale la è senz’altro, visto che si tratta di una satira – anche abbastanza impietosa – del cinema italiano all’altezza del 1990, anno dei Mondiali di calcio in Italia.
Che sia una sciocchezza un po’ meno, anche se la leggerezza e il volontario disimpegno del film sembrano piuttosto evidenti.
E allora sorge spontaneo il dubbio che Virzì abbia deluso chi voleva il consueto ritratto «autentico» di donne in crisi e di famiglie piene di disagi e segreti.
Cioè chi voleva il repertorio del «Virzì movie», che il regista toscano ha inventato declinando l’eredità della commedia italiana in versione adeguata alle aspettative del pubblico istruito e borghese del nostro Paese.
Ma non è che fare un film su tre ingenui ragazzotti, finalisti a un importante premio di sceneggiatura, e sull’esperienza (cialtrona ma vitale) della Roma appena uscita dagli anni Ottanta, sia di per sé sconveniente.
Anche perché Virzì, nel suo romanzo di formazione volutamente sarcastico e inverosimile, inocula poi nel racconto una serie sorprendente di cattiverie verso l’industria cinematografica del periodo.
Una gerontocrazia di registi bolliti e vecchi sceneggiatori che si tenevano a galla con le fiction televisive, un paese per vecchi dove i giovani venivano sabotati apertamente pur di non perdere il (poco) potere ancora rimasto.
Certo, Notti magiche ha una sceneggiatura che più scombinata non si può, ma il tono tra il leggiadro e il sassolino nella scarpa alla fine permette momenti di commedia amara non poi così frequenti dalle nostre parti.