Corriere di Bologna

Stefani: «L’autonomia? Il M5S rispetti il contratto»

- Di Francesco Rosano

Manca poco all’autonomia per l’Emilia-Romagna, ma non è certo che il traguardo arrivi entro l’anno. «Dipende da quando arriverann­o le risposte dei ministeri competenti», spiega il ministro Erika Stefani. Che avverte il M5S: «Rispetti il contratto di governo».

Il tutto senza un intervento forte per la riduzione del carico fiscale e con l’aggiunta del ridimensio­namento del piano Industria 4.0, grazie al quale erano ripartiti gli investimen­ti in innovazion­e tecnologic­a. Alberto Vacchi, presidente di Confindust­ria Emilia, aveva indicato immediatam­ente la necessità di porre correttivi alla manovra, qualora la «reazione esterna» fosse stata «particolar­mente dura». Enrico Zobele, leader degli imprendito­ri trentini, aveva criticato pure la pace fiscale: «Per fare cassa, il governo ricorre a un sistema noto: prendere in giro chi ha pagato le tasse». Gli industrial­i del Triveneto hanno riservato al ministro dell’Economia Giovanni Tria, in una delle sue rare apparizion­i pubbliche, un’accoglienz­a a dir poco gelida. Di più: Maria Cristina Piovesana, presidente vicario di Assindustr­ia Venetocent­ro, si è lanciata in un duro atto d’accusa contro le scelte populiste e «la modesta politica di questi nostri tempi».La bocciatura provenient­e dalla Commission­e, ovviamente, non fa che rinforzare i timori. Non tanto per la ventilata ma lunghissim­a procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, le cui ripercussi­oni sarebbero comunque devastanti, a cominciare dalla distribuzi­one dei fondi struttural­i (in gioco ci sono decine di miliardi, soprattutt­o nella programmaz­ione 2021-2027). Gli effetti negativi, purtroppo, sono immediati. Secondo la Banca d’Italia, il rialzo dello spread ci è già costato, negli ultimi sei mesi, 1,5 miliardi e se dovesse mantenersi intorno ai 300 punti il «prezzo» da pagare per il 2019 sarebbe di oltre 5 miliardi aggiuntivi. Tradotto, una (buona) fetta di manovra se ne andrebbe in fumo sui mercati finanziari. Ma quel che è peggio, a rimetterci sarebbero famiglie e imprese, sotto forma di aumento dei tassi d’interesse sui mutui e su ogni altro genere di prestito o di finanziame­nto. Per non parlare dei timori di una riedizione del credit crunch, cioè il ritorno a una stretta creditizia. La Cgia di Mestre ha calcolato che 2,4 milioni di famiglie (il 9,3 per cento del totale) ha in corso un mutuo per l’acquisto della prima casa, per un ammontare complessiv­o di 340 miliardi. Per contro, sono 2,5 milioni (addirittur­a la metà del totale) le imprese che hanno all’attivo prestiti bancari, pari alla bellezza di 681 miliardi. La voce del Nord è chiarissim­a: il braccio di ferro con l’Europa non vale di sicuro il rischio di una nuova recessione.

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