QUEL GESTO E LE DOMANDE SENZA RISPOSTA
Un uomo schivo, insicuro e riservato, rimasto intrappolato nelle sue bugie, prima ancora che in un’inchiesta pesante che lo vedeva indagato per la morte del padre. Negli ultimi giorni era turbato e sconvolto, per le accuse, ma soprattutto perché gli amici lo avevano abbandonato. Francesco Masetti ha lasciato dietro di sé molti interrogativi, ma un suicidio, se di questo si è trattato, non è una prova di innocenza né di colpevolezza. Impone di dare riposte a un dramma che interroga tutti.
Aveva la passione per la buona cucina e per quei due cagnolini da cui non si separava mai. L’ultimo pensiero di Francesco ieri l’altro è stato proprio per loro. Li ha affidati alle cure di un dog sitter, dicendo che si sarebbe allontanato per un pò. Invece se n’è andato per sempre, portandosi dietro i suoi tormenti e quel peso tremendo che non riusciva più a sopportare. Il suicidio, se di questo si è trattato, se davvero ha deciso di farla finita lanciandosi a tutta velocità contro quel tir, come dimostrerebbero i messaggi che in turbinio di emozioni ha mandato prima dello schianto, non è una prova di innocenza né di colpevolezza. Non conferma accuse o sospetti, né solleva chi resta dagli interrogativi, anzi impone risposte. E rivela la necessità di trovare una via d’uscita, di lasciare dietro di sé un messaggio disperato eppure carico di significati. Perché in ogni caso ci vuole coraggio a decidere di uscire di scena così, seppellendo verdetti e dubbi, verità e bugie. Proprio le bugie, racconta chi gli è stato vicino in questi giorni complicatissimi, sono state il carburante che l’ha precipitato in questa folle corsa finita in tragedia. «Mi scuso per le bugie», ha scritto all’ex fidanzata un’ora prima di morire.
Più dell’accusa di aver avvelenato il padre, più dell’inchiesta in cui era rimasto impigliato, è stato forse il progressivo allontanamento dei pochi amici che aveva a scavare il baratro in cui poi è precipitato. «Mi hanno abbandonato tutti, sono rimasto solo», ha scritto in uno degli ultimi messaggi al suo avvocato. Diversi suoi conoscenti sono stati sentiti dai carabinieri in questi giorni. Molti hanno scoperto cose su Francesco che ignoravano, alcuni gli hanno scritto messaggi pregandolo di non chiamarli fino a quando le cose non si sarebbero chiarite. Non gli hanno perdonato le bugie sulla laurea in Medicina, sugli esami che diceva d’aver sostenuto, su quella tesi che tutti pensavano imminente e che invece non è mai esistita. Un riflesso dell’immagine che sua madre proiettava di lui parlando con amici e parenti. Francesco il medico, il laureato, un figlio che ha finalmente trovato la sua strada. E invece lei se n’è andata prima. Prima di tutto, della morte di suo marito, delle accuse pesantissime della cugina contro quel figlio insicuro che a 38 anni non aveva un lavoro e si arrangiava affittando due stanze del suo appartamento. Dei sospetti legati a quell’eredità imponente di cui i suoi pochi amici ignoravano l’esistenza e che in questa storia agli occhi di tanti avrebbe costituito un formidabile movente.
Così Francesco è rimasto solo, abbandonato dagli affetti più cari, schiacciato dalla preoccupazione per il futuro e soprattutto dalla paura di essere arrestato, un timore presente spesso nei suoi ragionamenti nonostante le rassicurazioni dell’avvocato Alessandro Veronesi che ha ripetutamente provato a fargli capire che quell’iscrizione nel registro degli indagati altro non era che un atto a sua tutela, la garanzia del rispetto dei suoi diritti nel prosieguo dell’inchiesta. Contro di lui, è giusto ribadirlo ancora una volta, non c’erano e non ci sono al momento indizi né elementi tali da indirizzare le indagini in una direzione o nell’altra. Solo gli esami tossicologici
Insieme Francesco col padre Antonio durante un viaggio negli Stati Uniti, per la morte del 70enne era indagato il figlio dopo l’esposto di una cugina
La lettera al suo legale: «Continua a lavorare per dimostrare la mia innocenza»
avrebbero consentito agli inquirenti di mettere un primo punto fermo. Francesco non ci sarà quando la verità, o una prima verità, verrà fuori. Ha deciso di uscire di scena prima, emettendo il suo personale verdetto. E in quanto tale insindacabile. Prima di andarsene si è però raccomandato con il suo avvocato: «Continua a lavorare per dimostrare la mia innocenza, non ho ucciso mio padre».
Negli ultimi giorni faceva la spola tra Bologna e Modena, girovagava nella Bassa con la sua auto. «Sto cercando lavoro, almeno lì non mi conoscono», ha detto al suo legale ventiquattro ore prima di finire contro quel camion. Poi però mercoledì ha sistemato tutto, mandando messaggi inequivocabili. Ha affidato a un corriere il suo testamento da inviare allo studio dell’avvocato, nominando eredi l’ex fidanzata e un amico che vive all’estero. Subito dopo ha mandato quei messaggi carichi di disperazione. «Raggiungo mamma e papà», ha scritto prima di rimettersi in viaggio e staccare il telefono. Poi lo schianto, devastante, su una strada dritta e lunga. Incidente o suicidio, non è ancora chiaro e chissà se lo sarà mai anche se tutto lascia pensare a un gesto estremo e violentissimo, che ha coinvolto un’altra persona che ora lotta per sopravvivere in ospedale.
Da qualunque parte la si guardi, questa vicenda tristissima interroga tutti. In primo luogo chi come noi oscilla quotidianamente tra il diritto-dovere di informare e il rispetto delle garanzie e della reputazione di indagati e imputati, sempre innocenti fino a prova contraria. E chiama in causa l’annoso tema della dilatazione tra i tempi lunghi del diritto e quelli brevi di chi è coinvolto in un’inchiesta ed è costretto a difendersi.