I Buddha dell’India
Al Museo Civico Medievale la mostra dell’arte del Gandhara. Statue e foto: il legame con Bologna
Con lo sguardo rivolto verso il lontano Oriente. Così Bologna, con largo anticipo sulla riscoperta di filosofie e religioni asiatiche, rispondente al bisogno di un’alternativa al modello di razionalità affermatosi in Occidente, aveva costruito un ponte verso l’arte buddhista già a inizio Novecento. Quando in città esistevano due musei dedicati alla cultura indiana. Quello dei Cappuccini nel convento fuori Porta Saragozza, composto da oggetti raccolti dai missionari in India, e quello all’interno dell’Archiginnasio. Un primato che faceva di Bologna uno snodo chiave per conoscere l’Oriente, ancor prima dei viaggi di esploratori come l’orientalista Giuseppe Tucci. Nel 1907, infatti, Bologna aveva già il suo Museo Indiano, costituito sulla base della collezione di oggetti, fotografie e manoscritti raccolti da uno studioso modenese di nobili origini, Francesco Lorenzo Pullè, che all’Università di Bologna insegnò dal 1899 Filologia Indoeuropea e Sanscrito. Oltre, en passant, a ricoprire i ruoli di preside della facoltà di Lettere, consigliere comunale socialista e senatore, trovando anche il tempo di partire volontario appena sedicenne con i garibaldini e, anni dopo, nella Grande Guerra, in trincea alla tenera età di 65 anni. Un museo nato allora dalla partnership tra Alma Mater e Comune, poggiando su quegli scambi in ambito accademico che ancora oggi contrassegnano i legami tra Unibo e Oriente (la comunità di studenti cinesi è la più numerosa, tra quelle straniere, dell’Alma Mater). Relazioni che trovavano all’epoca una corrispondenza nel fascino esotico emanato dall’arte cinese e giapponese, con oggetti che campeggiavano in salotti, studi e locali pubblici. Fu proprio Pullè a partecipare, nel 1902, al «Congresso Internazionale degli Orientalisti» di Hanoi, in Vietnam. Durante il soggiorno, e nel ritorno tra Sri Lanka e subcontinente indiano, Pullè raccolse il primo nucleo della collezione che avrebbe costituito la raccolta principale del Museo di Indologia, come venne chiamato. Un’esperienza pionieristica proseguita sino al 1935 quando, alla morte dello studioso, le raccolte furono suddivise tra Comune, Unibo e famiglia, che cedette la propria parte all’Università di Padova dove insegnava il figlio di Pullè.
A ricordare quel Museo Indiano ormai ricoperto dalla polvere del tempo ci pensa ora una mostra, «I volti del Buddha del perduto Museo Indiano di Bologna», che si apre oggi alle 17,30 nel Museo Civico Medievale di via Manzoni. Un percorso sino al 28 aprile 2019, curato da Luca Villa, che sintetizza la dotazione di oggetti e foto di arte buddhista di Palazzo Poggi e Museo Medievale, visibili anche on line. La breve selezione delle 350 stampe fotografiche, che nemmeno il Victoria e Albert Museum di Londra possiede, attesta come Pullè considerasse la fotografia uno strumento fondamentale per evitare di prelevare reperti dai luoghi. Gli oggetti in mostra sono invece legati all’arte buddhista del Gandhara, tra il Pakistan e l’Afganistan attuali, con ulteriori esempi raffiguranti divinità del pantheon buddhista cinese. Di particolare rilievo è il Buddha digiunante, restaurato da studenti dell’Accademia di Belle Arti e raffigurante Siddharta dopo 40 giorni di digiuno.