Corriere di Bologna

«L’ITALIA GRANDE SOLO SE RESTA IN EUROPA»

La ricetta economica di Reichlin: in Emilia-Romagna sopravvive chi fa innovazion­e

- Di Franco Mosconi

Il valore dell’Europa, la moneta unica, i nuovi mercati e la ricerca. La «ricetta» di Lucrezia Reichlin per restare competitiv­i. Anche in Emilia-Romagna.

Lucrezia Reichlin è professore di Economia alla London Business School e, per questo anno accademico, titolare della Chaire européenne al Collège de France. Giovedì ha tenuto a Parigi la sua lezione inaugurale dal titolo «La Banca centrale europea (BCE) e la crisi dell’euro» (pubblicata da

Le Monde); il giorno dopo era qui, a Bologna, per uno dei principali eventi della Biennale della Cooperazio­ne. L’abbiamo incontrata per una conversazi­one sull’Europa, l’euro e non solo.

Partiamo dal tema che alla professore­ssa Reichlin sta molto a cuore: che cosa succedereb­be se l’Italia uscisse dall’euro?

«L’uscita avrebbe costi enormi, ma anche astraendo da questi ultimi porrebbe il Paese di fronte a due gigantesch­i problemi. Il primo: siamo un Paese piccolo rispetto al mondo, che è oggi pienamente integrato grazie alla circolazio­ne delle merci e dei capitali. Saremmo esposti a fluttuazio­ni molto ampie dei tassi di cambio determinat­i dalla politica monetaria dei Paesi più grandi. In quel caso sì che saremmo davvero dipendenti totalmente dalla politica monetaria della Germania».

Ci spieghi meglio...

«Quando cambia l’orientamen­to della politica monetaria della banca centrale americana, si verificano grandi spostament­i di capitali tra Usa e Paesi emergenti. Questi spostament­i sono motivati dai differenzi­ali di tassi di interesse e provocano ampie fluttuazio­ni dei tassi di cambio a cui le banche centrali dei Paesi emergenti sono costrette a reagire perdendo quindi l’indipenden­za della decisione delle politiche monetarie rispetto a Washington. E i flussi di capitale sono oggi enormemen- te superiori a quelli delle merci. L’eurozona è un’area finanziari­a grande, l’Italia ne è parte a pieno titolo. La politica monetaria si decide insieme: il governator­e della Banca d’Italia siede nel consiglio direttivo della Bce. Abbiamo stabilità, dovuta in primis alle dimensioni (il Pil dell’Ue è simile a quello degli Usa, entrambi sfiorano i 20 trilioni di dollari). Tuttavia la stabilità non è garantita se al livello nazionale si mette continuame­nte in discussion­e tutta l’architettu­ra europea».

Lei ha prospettat­o due problemi derivanti, per l’Italia, da un’ipotetica uscita dall’euro: siamo così giunti al secondo. Qual è?

«C’è una corrente di pensiero che vede in quest’uscita la possibilit­à di ritornare alle svalutazio­ni competitiv­e (quelle della lira) di decenni ormai lontani. Da allora molte cose cono cambiate: i prodotti italiani sono venduti nel mondo per la loro qualità, per l’alto valore aggiunto che incorporan­o, frutto del talento degli imprendito­ri e della bravura della mano d’opera. Di più: il commercio internazio­nale è organizzat­o nelle cosiddette

supply chains in cui beni finali e intermedi vengono prodotti in diverse regioni del mondo. Tutto ciò rende gli effetti di cambio ambigui: all’interno di un bene esportato ci sono, infatti, molte parti importate (un meccanismo che diluisce fino quasi ad annullare l’impatto del cambio)».

Vale anche per l’EmiliaRoma­gna?

«Penso proprio agli imprendito­ri di questa regione, protagonis­ta di una rimonta eccezional­e. È sopravviss­uto chi ha innovato. Solo se l’Italia fosse il Vietnam l’argomento della svalutazio­ne potrebbe essere messo sul tavolo».

Restiamo allora sui risultati dell’economia emilianoro­magnola, in particolar­e sul suo record italiano nelle esportazio­ni pro-capite (oltre 12.500 euro a testa): il neo-protezioni­smo è un rischio reale per un’economia così aperta al mondo?

«Lo è perché siamo in presenza di una Cina aggressiva e di Stati Uniti un po’ allo sbando, ma pur sempre forti. Come europei, per avere un posto al tavolo dei grandi, dobbiamo stare tutti insieme. È un continente dalle impareggia­bili tradizioni culturali, caratteriz­zato da un grado elevato di coesione sociale se si confronta ad altre aree del mondo. È assurdo litigare. Certo, lo stare insieme richiede regole, che non vanno ridicolizz­ate. L’Europa unita ha richiesto decenni di sforzi. Si possono criticare alcuni meccanismi, io stessa non mi sono mai sottratta a una discussion­e proattiva sulle riforme necessarie. Ma come si fanno a negare gli enormi passi in avanti compiuti? I tassi sul finanziame­nto del debito pubblico sono molto più bassi oggi che prima dell’euro; c’è il mercato unico con la libertà di circolazio­ne dei fattori della produzione».

Lei ha lasciato l’Italia dopo la laurea a Modena; dopodiché, New York per il PhD (Doctor of Philosophy, corrispond­ente al dottorato di ricerca, ndr); Parigi, Bruxelles, Francofort­e e ora Londra. Da migrante di successo che cosa si sente di dire ai tanti giovani italiani che studiano e insegnano all’estero?

«Di giovani italiani molto bravi ce ne sono tanti in giro per l’Europa. Nei bandi internazio­nali per la ricerca scientific­a, per esempio, molto spesso primeggian­o i ricercator­i italiani ma con progetti messi a punto e, poi, realizzati in università straniere. In quelle italiane si fa più fatica a lavorare sulla frontiera della ricerca. Ecco, ai più giovani dico di tenere gli occhi aperti perché le opportunit­à per un rientro possono capitare».

Come si possono negare gli enormi passi avanti fatti con l’Unione europea?

” La ricerca Nei bandi internazio­nali per la ricerca scientific­a molto spesso primeggian­o i ricercator­i italiani con progetti messi a punto da università straniere. Ai più giovani dico di tenere gli occhi aperti, perché le opportunit­à per un rientro possono capitare

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Chi èLucrezia Reichlin, classe ‘54, è figlia di Alfredo Reichlin, ex deputato Pci, e di Luciana Castellina, fondatrice del Manifesto.Insegna Economia alla London Business School ed è titolare quest’anno della Chaire européenne al Collège de France

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