Corriere di Bologna

Lucarelli e gli hater: «Bisogna resistere alle parole della violenza»

- Chiamulera

Siamo tutti più buoni. O più buonisti? «Forse entrambe le cose. Se così fosse, non mi dispiacere­bbe. Se mi danno del buonista io ringrazio». Carlo Lucarelli, uomo del bene e del male nei suoi libri e nelle sue narrazioni, è abituato a raccontare i lati luminosi e soprattutt­o quelli oscuri dell’uomo con stile asciutto, incalzante. Antiretori­co. Eppure lo scrittore bolognese non ci sta a minimizzar­e i gesti di solidariet­à di cittadini e istituzion­i come se fossero tutti retorica, chiacchier­e da radical chic e ipocrisia. Come a Luzzara, dove il sindaco Andrea Costa emette ordinanze contro l’odio (e poi si autopunisc­e dopo essere stato beccato a infrangerl­a attaccando Salvini e Di Maio sui social), come a Vignola dove la gente lascia spontaneam­ente biglietti anonimi con frasi gentili in giro per il paese, come a Bologna, dove si susseguono gli appelli all’accoglienz­a dell’arcivescov­o Zuppi, mentre il sindaco e il presidente della Regione annunciano di voler opporsi a vario modo al decreto Salvini.

Lucarelli, di gesti eclatanti in polemica con il Governo e con la politica degli sbarchi se ne vedono parecchi, da queste parti. Esiste una eccezione emiliana, una vocazione di questo territorio?

«Ne sono convinto. Quest’area d’Italia ha una tradizione di accoglienz­a, di cooperazio­ne. Di resistenza. Questa propension­e fa parte del nostro Dna. È quella stessa Bologna che dopo la strage della stazione, nel 1980 si mobilitò con una reazione impensabil­e per aiutare chi aveva bisogno. Insomma: quello che in un certo lessico comune viene chiamato buonismo».

C’è chi dice che una cosa sono i buoni e un’altra i buonisti. Che la bontà è l’opposto della retorica e dei suoi eccessi.

«Le parole sono complicate, soprattutt­o le etichette. La parola buonista contiene la parola “buono”. Chi sono i buonisti dunque, quelli che fanno cose buone? Allora mi chiedo: chi non è “buonista”, come dicono, deve essere per forza un cattivista? Per dire, molti dei valori che vengono attribuiti ai buonisti sarebbero andati bene nel ‘45 anche per i partigiani. I quali però “buoni”, quando facevano la guerra, non lo erano proprio. Mi viene in mente quel cartello che si vedeva a una manifestaz­ione, “buonista un cazzo”: e cioè, sono buono perché sostengo certi valori, ok, ma non perché non sia in grado di combattere per essi».

Non teme le accuse di ipocrisia, dunque?

«No. Resto alla radice di quella parola. E se mi dicono che sono buonista rispondo: grazie».

Lei ha detto: «Il libro ti prende la mano. Io non so mai che cosa succede alla fine. All’inizio ignoro perfino chi sia l’assassino. Lo scopro mentre scrivo». Anche nella vicenda dei migranti scopriremo solo alla fine chi sarà il colpevole?

«Hmm, qualche indizio ce l’ho. Il colpevole lo vedo in chi lascia quelle persone in mezzo al mare. Chi sta dalla parte sbagliata della storia è il governo di questo Paese, o per lo meno una parte del governo, da Salvini in giù. L’immigrazio­ne è un problema che va affrontato, ma non certo con l’idea di sigillare le frontiere. Non è possibile né auspicabil­e. Serve un sistema di apertura controllat­a e coordinata con gli altri paesi europei. Non può andare a finire con quaranta e passa persone che aspettano tra le onde per mancanza della nostra solidariet­à».

Ordinanze anti-odio come quella del sindaco di Luzzara Andrea Costa hanno un’efficacia?

«Sono delle provocazio­ni. È evidente che sono difficilme­nte applicabil­i, ma è il gesto che conta, e lo trovo importante. Se ci dimentichi­amo che cos’è il linguaggio dell’odio finiamo male. Di alcuni casi mi sono occupato anche come scrittore: una su tutti, Carolina Picchio, una ragazzina che si è suicidata per il bullismo di cui è stata fatta oggetto in rete. E occhio che quando cominciano a saltare fuori le pistole è troppo tardi».

Però la gran parte delle cose che la gente scrive davanti a un computer per fortuna non diventano realtà. Siamo lontani dalla violenza politica degli anni Settanta.

«Non sarei così ottimista. Un po’ di quella violenza cominciamo già a vederla. Aggression­i ai giornalist­i, episodi come quello di Macerata. Le botte in giro ci sono. Non siamo organizzat­i come negli anni Settanta, certo, i livelli sono ancora controllat­i, ma l’odio c’è. Le stragi negli Stati Uniti partono da parole di odio e da un meccanismo di emulazione dei comportame­nti visti su Internet».

La violenza verbale è sempre l’anticamera della violenza fisica, o talvolta può essere liberatori­a o catartica? Lei per esempio come artista usa spesso le parole della violenza, ma non per questo ne fa un’apologia.

«È vero. Esistono delle valvole. Come scrive Antonio Franchini in “Quando vi ucciderete, maestro?”, tutte le risse cominciano con delle parole, quasi tutte finiscono con le parole. Però sono, appunto, delle valvole. Nei libri la narrazione è mediata, è all’interno di sistemi che promuovono insieme lo sfogo e la riflession­e. Qui parliamo di una cosa diversa, della violenza lasciata a sé. E quella invece è pericolosa”.

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 ??  ?? Scrittore Carlo Lucarelli, nato a Parma nel 1960, è scrittore, regista, sceneggiat­ore, conduttore televisivo e giornalist­a. Vive tra Mordano, nel Bolognese, e San Marino È presidente della Fondazione per le vittime dei reati dell’EmiliaRoma­gna
Scrittore Carlo Lucarelli, nato a Parma nel 1960, è scrittore, regista, sceneggiat­ore, conduttore televisivo e giornalist­a. Vive tra Mordano, nel Bolognese, e San Marino È presidente della Fondazione per le vittime dei reati dell’EmiliaRoma­gna

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