I MESTIERI DEL FUTURO
Se il mondo cambia velocemente, le prassi dei decisori politici sembrano perlopiù saldamente ancorate ai modelli novecenteschi. L’impronta leaderistica può dare l’idea di un’azione celere ed efficiente, tuttavia non è così. Si pensi, solo per esemplificare, alle normative urbanistiche che prevedono una programmazione complessa al punto da rendere praticamente impossibile un risultato ottimale: da quando si muove il primo passo all’ultimo voto, infatti, passa un tempo tale da far calare le scelte in un quadro sensibilmente mutato rispetto al momento in cui sono state impostate. La lentezza, peraltro, non è l’unico limite: ogni Palazzo, piccolo o grande, vede gradualmente affievolirsi le leve del comando reale, ossia la possibilità di incidere concretamente sulla vita dei cittadini e sui fattori che la condizionano. La globalizzazione, da un lato, e l’innovazione sempre più accelerata, dall’altro, rendono assai arduo il compito di fornire risposte adeguate. In un simile contesto, la microdimensione può offrire chance migliori rispetto a quella macro, sia perché chi è snello in genere è anche agile, sia perché in ambiti relativamente piccoli risulta più facile sperimentare. Cathy Davidson, responsabile del centro «Futures Iniziative» della City University of New York, in una recente intervista a «La Lettura» ha evidenziato che «nessuno sa con esattezza quali nuove professioni emergeranno nei prossimi cinque anni».
Ecco perché dobbiamo dare agli studenti gli strumenti per affrontare la complessità del mondo, per superare la prossima crisi tecnologica o economica che minaccerà le loro carriere». Per avere meglio un’idea dell’enormità della questione, è utile tenere presente un altro dato fornito dal supplemento culturale del Corriere: il 65 per cento dei bambini seduti oggi sui banchi delle elementari farà un lavoro che ancora non esiste. Esagerazioni? Ma no, pensateci bene: mentre c’è ancora chi usa a fatica la carta di credito, oggi possiamo pagare il conto dall’ortolano avvicinando il nostro smartphone al terminale Pos della cassa. L’altro giorno, in una sala di attesa, mi sono imbattuto in un bambino di 4 o 5 anni che parlava con il suo telefonino: «Ciao Google – gli ha detto – raccontami una barzelletta». Ovviamente in pochi secondi l’ordine è stato eseguito, direi bene ascoltando le risate del piccolo. Insomma, operazioni che ancora destano stupore in molte persone, sono la normalità per altre. Avremo sempre bisogno di medici, che useranno varie tecnologie come già stanno facendo, ma il mercato richiederà anche professioni trasversali o quasi del tutto inedite. Compito della scuola e dell’università, allora, sarà fornire agli studenti gli attrezzi giusti per poter sviluppare la propria formazione nel corso della vita lavorativa percorrendo terreni più o meno vergini. Nei percorsi scolastici e accademici, pertanto, la multidisciplinarietà sarà ancor più un presupposto ineludibile, ma soprattutto occorrerà allentare un po’ la tensione sul «sapere finito» per poter invece lavorare sugli strumenti del «sapere aperto e in continuo divenire». Fortunatamente, non siamo all’anno zero e il sistema, in particolare grazie alla passione di molti docenti capaci di superare gli ostacoli con cui incredibilmente devono fare i conti, offre già sperimentazioni importanti. La Regione e le nostre università vantano iniziative importanti che vanno già in tale direzione, ma serve una spinta ulteriore. Perché non basta dare risposte alle necessità del presente e neppure a quelle del domani che riusciamo a immaginare: dobbiamo dare ai giovani i mezzi per affrontare quanto oggi ci è ancora ignoto.