«Per trovare i lavoratori servono politiche ad hoc L’autonomia ci aiuterà»
Bianchi alle aziende: «Bisogna partire dalle scuole»
«In tutto il Paese si registra una contraddizione di fondo: da una parte le imprese dicono che mancano i lavoratori qualificati; dall’altra parte ci sono una serie di lavori non qualificati, ma precari. E a questo vanno aggiunti i segnali di una disoccupazione presente non solo tra i giovani, anche tra persone più adulte».
L’assessore regionale alla Scuola, Formazione e Lavoro Patrizio Bianchi conosce bene il paradosso reso manifesto dalle due ricerche uscite quasi in contemporanea negli ultimi giorni: quella della Camera di Commercia che racconta come le aziende bolognesi siano alla ricerca di 20mila under 30 da assumere nei prossimi due mesi (ma solo un contratto su tre sarà a tempo indeterminato); mentre l’Ires (l’istituto di ricerca della Cgil) segnala come nell’ultimo periodo del 2018 anche l’economia regionale abbia registrato una battuta d’arresto preoccupante. «Certo è possibile — spiega Bianchi — ma bisogna dire con chiarezza che questo avviene in un contesto nazionale e internazionale che sta rallentando molto di più di noi».
Queste aziende riusciranno a trovare 20mila lavoratori qualificati in due mesi?
«Non ci riusciranno e nei prossimi mesi continueremo ad assistere a una grossa ricerca di lavoro qualificato da fuori verso l’Emilia-Romagna. La nostra regione è diventata molto attrattiva negli ultimi anni, è sufficiente osservare i numeri in aumento che riguardano le nostre università. Anche in Germania è successa la stessa cosa».
Ma com’è possibile che in questa fase ci sia lavoro ma non lavoratori, tanto che le aziende bolognesi dovranno cercarli fuori regione?
«Si tratta di aziende che stanno crescendo rapidamente e che ora hanno bisogno di personale che solo fino a poco tempo fa non cercavano, perché non ne avevano bisogno. Devono assumere ma allo stesso tempo osservano il quadro economico e hanno paura di farlo. Così si spiega il fatto che la maggioranza dei contratti non è a tempo indeterminato».
Lei cosa si sente di dire alle aziende, e sono il 40%, che non trovano i lavoratori di cui hanno bisogno?
«Che l’unica via è costruire percorsi assieme, sin dalla scuola e fin dentro l’impresa. Lo abbiamo già sperimentato con la Lamborghini, la Ducati e di recente con la Berluti a Ferrara. L’idea che ci sia un mercato del lavoro con i lavoratori in mezzo alla piazza e le imprese che passano a prenderseli non esiste più. Ora il modello da perseguire è quello dell’accompagnamento al lavoro che parte appunto dalle scuole e che qui in EmiliaRomagna per fortuna è in atto con Confindustria, Cna e Confartigianato. Il mio messaggio a queste aziende è quindi di legarsi alle proprie strutture di rappresentanze e con le scuole tecniche e professionali. Questo è un tema che riguarda soprattutto regioni come la nostra, Lombardia e Veneto. Non è un caso che siano quelle che hanno deciso di percorrere assieme la strada dell’autonomia».
Che tocca anche il fronte del lavoro.
«Infatti nei giorni scorsi sia noi che loro abbiamo incontrato il ministro Luigi Di Maio. Sul tavolo c’era la richiesta di autonomia sulle politiche che riguardano il mercato del lavoro, attive e passive. Da parte nostra abbiamo sottolineato come il reddito di cittadinanza lasci l’idea di un forte elemento centralista, non coerente con l’autonomia che vogliamo percorrere. Di Maio si è preso l’impegno a riconoscere che i centri per l’impiego dipendono dalle Regioni e che noi dovremo agire per rafforzarli».
Intanto il lavoro in alcuni settori non manca, ma è precario.
«I dati dicono che c’è stata una battuta d’arresto pesantissima in Italia rispetto alla produzione, i posti di lavoro non cadono dal cielo. Mi preoccupa l’instabilità di questo quadro economico complessivo, italiano e internazionale. Il sovranismo non fa male agli importatori ma agli esportatori, e l’Italia e l’Emilia-Romagna si basano sull’export».
L’Italia è a rischio recessione?
«Credo che questo rischio ci sia ed è bene porsi il problema. Minacciare blocchi e dazi, deve essere chiaro che per noi tutto questo ha un impatto diverso rispetto ad altri Paesi. E infatti regioni come Emilia, Lombardia e Veneto, totalmente industrializzate, sono alla ricerca di tutto fuorché di una spinta alla chiusura».
” Devono assumere ma allo stesso tempo hanno paura di farlo: così nasce il precariato