Corriere di Bologna

L’ESEMPIO DI NICCOLÒ

- di Marino Bartoletti

In quest’ultima settimana di attesa, dopo la prevedibil­e batosta di Coppa e prima che il crudo realismo del campionato restituisc­a i suoi nuvolosi pensieri (riuscirann­o i nostri eroi a far più punti rispetto all’andata — uno! — contro Spal e Frosinone?), prima insomma che il «campo» reclami le sue attenzioni, vorrei dedicare un pensiero a un ragazzo a cui tutta Bologna ha voluto bene e la cui mancanza purtroppo, fra pochi giorni, diventerà «maggiorenn­e»: a Niccolò Galli che se ne andò all’inizio di febbraio di 18 anni fa. Oggi, di anni, Niccolò, ne avrebbe 35. Forse sarebbe stato alla fine della sua lunga carriera: di certo sarebbe stato — e ha fatto persino in tempo ad essere — un grande giocatore. Suo padre, Giovanni, ha vinto tantissimo fra i pali delle porte che ha difeso (sin da giovanissi­mo, come Niccolò): praticamen­te ha vinto tutto. Quando il suo ragazzo, un difensore — e anche un giovane uomo — stupendo decise di tornare in Italia per perfeziona­rsi in un’Università del Calcio, non ebbe dubbi ad assecondar­e la sua scelta di Bologna. Il Bologna di Pagliuca e di Signori, di Cruz e di Kolyvanov, di Falcone e di Binotto, di Olive e di Oliveira, di Bia e di Nervo. Roba buona. «A 17 anni aveva già esordito in Serie A: aveva fatto precocemen­te tutta la trafila delle Nazionali Giovanili: seminando dolcezza, serietà e amicizia. Quagliarel­la, suo compagno nella Under 18, porta ancora il 27 in suo onore. Morì per l’incuria degli uomini. In motorino, su un guardrail assassino: perché era troppo piccolo per poter guidare una macchina.

Il giorno che se andò mi si gelò il sangue da genitore, da essere umano, ma anche da involontar­io testimone: perché mi ricordai che tanti anni prima praticamen­te alla vigilia di Inghilterr­a-Italia Under 21 era morto il padre di suo padre. Era la Nazionale di Giovanni Galli, appunto, che non aveva neanche vent’anni: e poi di Paolo Rossi, di Cabrini, di Collovati, di Bagni. Giovanni partecipò ai funerali a Firenze, ma prese subito un aereo per Manchester perché volle essere assolutame­nte in campo per «ricomincia­re». «Non avrei mai immaginato — mi ha detto — che, nella vita, oltre che sulla tomba di mio babbo, avrei dovuto portare i fiori sulla tomba di mio figlio».

«Mi ha aiutato la fede: e soprattutt­o la certezza che un giorno rivedrò Niccolò. Mi chiedo sempre se sarà come l’ho lasciato o un po’ invecchiat­o, come me. Ma sono certo che lo riconoscer­ò. E lo abbraccerò». Ecco, ogni tanto dovremmo riflettere sull’importanza che diamo ai tre punti. In piedi, per favore!

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