Viaggio tra confraternite I riti e le tradizioni a tavola
Centinaia di volontari proteggono ricette antiche, prodotti locali e tutte quelle pietanze che rischiano di perdersi nella società contemporanea
Il prodotto tipico simbolo di un territorio nell’Italia dei comuni diventa un marchio di fabbrica. Spesso e volentieri protetto non solo da etichette Doc, Dop o Igp ma anche da gruppi che, sul filo della goliardia, si fanno carico di difendere l’integrità di ingredienti e piatti che intrecciano storia, cultura e palato. In Italia le confraternite gastronomiche sono più di un’ottantina, come si può scoprire percorrendo le 312 pagine del libro Viaggio tra le confraternite enogastronomiche d’Italia, pubblicato dalla casa editrice bolognese Odoya.
L’autore, il quarantaseienne Michele Leone, una laurea in Lettere e filosofia e una serie di studi e libri su massoneria e società segrete, ne ha raggruppate una trentina dividendole per regioni, con la collaborazione di Valentina Misgur.
Dalla Confraternita del Lampascione Salentino all’Accademia Gonzaghesca degli Scalchi, dalla Venerabile Confraternita del Baccalà alla Vicentina alla Confraternita degli Amici del Porcello. Una ricognizione lungo lo stivale, quella di Leone, in sella alla
del Carlino. Le dispute tra Bologna e Modena sulla paternità del tortellino hanno origini antiche, ma dopo lunghe e dotte discussioni la storica diatriba fu ironicamente appianata dall’ingegner Giuseppe Ceri, direttore del giornaletto satirico La Striglia. Alla fine dell’Ottocento Ceri trovò una soluzione di compromesso indicando Castelfranco Emilia, a metà strada tra le due città, come culla del tortellino, la cui origine medievale è invece comprovata.
Tortellos, torteleti e ravioli nacquero infatti nel tardo Medioevo come evoluzione delle torte farcite, spiega lo storico dell’alimentazione Massimo Montanari. Molti glottologi fanno derivare il termine tortellino da «torta o tortula», con cui si indicava una pasta ripiena a foggia circolare. Altri dal latino «torcere», cioè dal torcimento in uno straccio delle erbe cotte, che servivano poi per il ripieno.
E se nel 1891 Pellegrino Artusi dava una ricetta accurata del ripieno, la dotta Confraternita del Tortellino nel 1974 depositò, con atto notarile, l’autentica ricetta del ripieno del «Tortellino di Bologna», riportata a pagina 149. Fissando anche i parametri di preparazione del brodo, esclusivamente di carne di manzo e gallina ruspante. A suggellare quello storico atto fu chiamato, fra gli altri, l’allora sindaco Renato Zangheri.