«Basta Medea Per salvarsi la sua famiglia è stata decisiva»
Balloni fece l’ultima perizia: famiglia decisiva
«Sono contento, la pena è rieducazione. Ora, però, dimentichiamo Annamaria». Così il professor Balloni, la cui perizia nel 2014 fu decisiva per i domiciliari. «È stata determinante la sua famiglia».
Già nel giugno del 2014 il perito nominato dai giudici del tribunale di Sorveglianza di Bologna, il professor Augusto Balloni, dopo aver messo nero su bianco che il rischio di recidiva per Annamaria Franzoni, a 12 anni dalla tragedia, sarebbe stato impossibile, lanciò il suo appello: «Dimenticatela». Un passaggio-chiave nella storia della donna che, proprio grazie a quella perizia, potè uscire dal carcere e scontare il resto della sua pena agli arresti domiciliari, insieme alla sua famiglia e ai suoi figli. Con una prescrizione del tribunale: il sostegno psicologico per lei e per i suoi cari. A distanza di quattro anni e mezzo, Balloni avanza la stessa richiesta al mondo lì fuori dalla casa di Annamaria: «Adesso scordiamoci tutto. Guardiamola come si guarda una signora qualunque, una mamma, una moglie. Il suo debito l’ha pagato, adesso basta».
Professor Balloni, quali difficoltà di reinserimento attendono ancora Annamaria Franzoni, adesso che è una persona libera?
«Sono molto contento per questa notizia. In realtà spero che Annamaria si sia già reinserita attraverso gli arresti domiciliari. Mi auguro che questo periodo a casa abbia giovato a lei, ai suoi figli, alla sua famiglia. Era proprio questa la parte della pena finalizzata al reinserimento. Io nella pena detentiva non ho molta fiducia, sono convinto della necessità di un’individualizzazione della pena. Lo dice anche la nostra Costituzione che la pena deve essere rieducativa e questo caso è l’esempio che quando tutti si mettono d’impegno per fare in modo che le cose funzionino, poi si ottengono i risultati».
Quindi, secondo lei, gli ostacoli più difficili Franzoni dovrebbe già averli superati.
«Le difficoltà che la aspettano dovrebbero essere limitatissime a questo punto. Ha avuto contatti con la sua comunità, con i membri della sua famiglia. Questo dovrebbe essere un passaggio soft, dolce, quasi normale. Avrà bisogno di sostegno e di aiuto, ma l’ha già avuto in tutto questo tempo dalla sua famiglia».
Quindi il ruolo principale nel recupero della donna l’ha avuto la sua famiglia?
«È stata determinante, perché le è sempre stata vicina e ha evitato ulteriori stigmatizzazioni, visto che il dibattito sul suo caso è stato a tratti molto duro. Ma bisogna pensare in modo più umano, non solo alla tragedia di Medea. La società deve dimenticare, deve dire “è una come noi”, non guardarla come un fenomeno criminale».
Professore, come può lo sguardo dell’opinione pubblica farsi più morbido?
«Bisogna pensare che queste cose possono succedere e sono successe. I delitti dovuti alle emozioni e ai dolori da sempre accadono, ma la società deve essere accogliente. Sono altri i fatti di sangue su cui essere duri e intransigenti. Quello che è accaduto 17 anni fa è stato un episodio della vita di Annamaria che le ha spezzato l’esistenza, ma non ha compromesso il suo essere madre. Con i figli, sia in carcere che in semi-libertà, ha sempre avuto contatti affettuosi. Tutti dovrebbero avere una pena individualizzata, è la strada per un vero recupero. Per lei è stata determinante la vicinanza della famiglia e, paradossalmente, seppur pesante, è stata d’aiuto anche la grandissima attenzione mediatica che ha suscitato il suo caso».