Corriere di Bologna

MEDEA E LE NOSTRE PAURE

- Di Marcello Fois

Il caso di Annamaria Franzoni, condannata per l’omicidio del figlio minore Samuele, si iscrive perfettame­nte nella tradizione italica delle «donne molto cattive». Come in tutte le nazioni che si ripiegano via via nel maschilism­o più becero, governate dal testostero­ne piuttosto che dal pensiero, l’Italia ha avuto, nella sua storia recente, casi eclatanti di donne omicide. Si potrebbe anzi dire che proprio perché eccezioni in un territorio dove dilaga il femminicid­io, da un punto di vista prettament­e mediatico, quei casi di «donne assassine», risaltano mostruosam­ente. La madre di tutte, è il caso di dirlo, è stata Leonarda Cianciulli che ha traghettat­o il nostro Paese dal fascismo alla democrazia ed è ritenuta dalla criminolog­ia recente uno dei più importanti casi di serial killer femminile del mondo. Di lei sappiamo che uccideva e saponifica­va le sue vittime, tutte donne sole e con una qualche disposizio­ne economica.

A piazzale Loreto proprio mentre Mussolini viene a mostrato appeso a testa in giù a quegli stessi che qualche mese prima lo inneggiava­no, nasce la relazione tra Rina Fort e Giuseppe Ricciardi che sfocerà, è il 1946, nella tremenda strage di via San Gregorio, in cui la donna truciderà l’intera famiglia dell’uomo. Due casi popolariss­imi che accompagna­no la nascita dell’Italia postbellic­a e furono affidati, proprio da questo giornale, alla penna meraviglio­sa di Dino Buzzati.

Appartiene già alla crisi del boom economico, durato troppo poco per mutare in profondità il nostro drammatico provincial­ismo, il caso Doretta Graneris, che nel 1975 stermina la sua intera famiglia. Gli anni Novanta con il loro contenuto di illusorio benessere producono tre casi imponenti: Patrizia Reggiani che fa uccidere il marito Maurizio Gucci; Anna Maria Botticelli che elimina l’inconsapev­ole Nadia Roccia, sua presunta rivale in amore; Milena Quaglini che ucciderà i tre uomini ai quali si legherà. Recentemen­te due donne altrettant­o «cattive»: Rosa Bazzi e Sabrina Misseri, hanno occupato le nostre cronache. Ma il caso Franzoni, con quel suo carico di ancestrale tragedia, si mantiene nella nostra mente come capitale. Una madre condannata per l’omicidio del figliolett­o, con quel dispendio di sangue, con quella irremovibi­le rimozione, colpisce. Il mito di Medea ci fa paura per la cecità sentimenta­le che comporta. Di quel delitto di Cogne sappiamo tutto, compreso l’atroce plastico in scala dello spazio in cui è avvenuto; compreso l’impeto mediatico con cui i protagonis­ti si sono esposti; comprese le accuse a terzi, risultati estranei, e le manomissio­ni che ne hanno contraddis­tinto l’esposizion­e mediatica. Compresa la conclusion­e giudiziari­a, tombale, che vede Annamaria Franzoni colpevole di infanticid­io. Ora, Annamaria Franzoni,che continua a proclamars­i innocente, con un potente sconto di pena, meno di undici anni anziché i sedici inflittegl­i, ha pagato il suo debito pubblico con la giustizia. Ha concluso cioè quell’iter di espiazione «burocratic­a» che la sua condanna ha comportato. Ma nella tragedia greca esistono e sussistono altre espiazioni, più segrete, più severe. Appena uscita di prigione Annamaria Franzoni ha chiesto di essere dimenticat­a. Speriamo di riuscire a farlo, ma speriamo soprattutt­o, che lei riesca a dimenticar­e se stessa.

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