«Le infanticide non sono mostri ma donne malate»
Verasani scrisse una pièce ispirata al caso
«Lasciatela stare». Certo, per lei, che «la sua pena l’ha scontata e ha il diritto di rifarsi una vita». E per noi, perché certe «reiterazioni morbose fanno paura» e ci riportano «alla caccia alle streghe». È un’appello alla riflessione quello della scrittrice Grazia Verasani di fronte al riaccendersi dei riflettori su Annamaria Franzoni appena uscita dal carcere. È proprio dal caso della mamma di Cogne che l’autrice, nel 2004, trasse spunto per il suo From Medea, un libro edito da Sironi, poi divenuto una piéce teatrale, e infine un film, dal titolo
Maternity Blues.
Cosa è cambiato da allora?
«Credo ci sia più consapevolezza. Più attenzione, anche nel linguaggio, ad affrontare il tema. Finalmente si usano le categorie della psichiatria. Perché una madre che uccide il proprio figlio è una persona da curare».
Cosa la colpì del caso Franzoni?
«È stata la prima volta che un caso del genere ebbe un effetto mediatico così dirompente. Per la prima volta si parlava di depressione postpartum, di madri sofferenti e sole fino al gesto più estremo. Ma se ne parlava male, in modo superficiale. Con giurie popolari che processavano questa donna. Primi piani sulle lacrime, chiunque autorizzato ad avere un’opinione. Contava solo trovare il mostro».
Lei, nel suo libro, ha voluto raccontare altri drammi?
«Ho studiato molto. Sono andata all’Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere che accoglie le infanticide e so che una madre che uccide il figlio è nel 99% dei casi malata, con problemi che né la società né la famiglia hanno capito. Ma prima di arrivare ad uccidere ci sono tantissime situazioni intermedie di malessere, depressione, solitudine, paura».
Insomma, la maternità felice è una favola?
«Un errore. Quante donne mi hanno ringraziata perché ho dato voce alla lora condizione. Se non sei una specie di wonder woman sei già giudicata colpevole»
Il caso Franzoni è unico: lei non ha mai confessato.
«Spesso le infanticide si suicidano, molte rimuovono il loro gesto per ricordarlo molto più tardi. In questo caso pare che lei non ricordi, ma i medici dicono che la rimozione totale sia impossibile. Forse ha continuato sulla strada dell’innocenza per motivi legati a pressioni famigliari o comunque del suo ambiente. Non la credo nemmeno fredda e lucida: le sarebbe convenuto di più confessare e accettare le cure». E se fosse innocente?
«Non sta a me giudicare. A me interessava descrivere la maternità anche nei suoi aspetti più duri, all’interno di una società in cui alla donna non è dato esprimere il suo malessere».
In quasi 20 anni non ci siamo evoluti?
«Ancora nel 2011 alla proiezione del film, trovai un pubblico più preparato in Francia e in Germania. A Roma, invece, diversi uomini uscirono dalla sala disgustati. Oggi la sensibilità è aumentata anche se si avverte una certa regressione. Confido nelle nuove generazioni».
C’è chi si scandalizza della scarcerazione...
«Lo vedo sui social, che hanno sdoganato la stupidità e la disumanità. Ma a me spaventa di più un politico donna che dice che se le mogli stessero con i propri mariti non ci sarebbero i femminicidi».
” Effetto mediatico È stata la prima volta che un caso del genere fu così dirompente, per la prima volta si parlava di depressione post partum, ma se ne parlava ancora male
” Indignazione sul web Più dei commenti sui social mi spaventa un politico donna che dice che se le mogli non lasciassero i mariti non ci sarebbero femminicidi