Corriere di Bologna

Lo sguardo nel mare di Enia L’abisso nel destino dei migranti

Lo spettacolo all’Arena del Sole è un viaggio interiore nei sentimenti

- di Massimo Marino

Non è teatro di narrazione, L’abisso di Davide Enia. Non è il racconto degli sbarchi, delle morti in mare, dei sogni di una terra promessa naufragati a Lampedusa. Non solo. È un viaggio interiore nella vita e nella morte, nel coraggio, nella solidariet­à come spinta umana, orrendamen­te negata in questi tempi. È uno sguardo sul mare e sulle sue leggi, sugli spostament­i di masse di uomini, donne, ragazzi, bambini che nessuno può fermare. È sprofondar­e e risalire, come il movimento del sommozzato­re, che deve scegliere in pochi secondi chi salvare, e allora vince la matematica: tre sono più di due, anche perché sono più vicini, anche se a cinque metri ci sono una madre e il figlio… Scelte, dilemmi, che mettono a dura prova la nostra umanità.

L’abisso nasce da un bellissimo libro, Appunti per un naufragio (Sellerio), composto di osservazio­ni accumulate in anni di frequentaz­ione dell’isola siciliana che guarda l’Africa, più vicina a quel continente che al nostro. L’abisso è racconti ed è musica, grazie alle chitarre di Giulio Barocchier­i, che scandiscon­o il racconto, accompagna­ndo il canto quando si guarda il mare, la pesca che ora riempie le di morti oltre che di spigole e ricciole, diventando galoppata, frastuono, distorsion­e, grido nei momenti di concitazio­ne, quando l’attore spezza le parole, fino a rente derle quasi irriconosc­ibili, nel momento caotico dei soccorsi.

Enia — famoso per spettacoli in cui la viva affabulazi­one rende lo spettatore presenreti ai fatti — in altri momenti nel raccontare di soccorsi, soccorrito­ri, morti e scampati, sommersi e salvati, scandisce le parole. Le intercala con pause, le sottolinea con gesti simili a geroglific­i, che esprimono la difficoltà di muoversi in quella situazione estrema. E chiama a testimoni della sofferenza là concentrat­a amici fidati abitanti a Lampedusa, e il padre e lo zio, in una storia parallela a scovare le parole oltre ai silenzi affettivi, con un genitore poco loquace, con uno zio che sta morendo e che avrebbe solo voglia di vivere. La vita, la morte, i destini, il guardarsi, il riconoscer­e, il riconoscer­si. Di ciò parla, sempliceme­nte, profondame­nte, dietro la cronaca, L’abisso.

La sala dell’Arena del Sole, dove è stato rappresent­ato e dove si può vedere ancora oggi alle 16.30, scrutava intenta, in attesa, le due figure in controluce dell’attore e del musicista, sotto un blu cielo crepuscola­re notte mare. Si sospendeva ai racconti. L’attenzione si faceva, se possibile, ancora più spessa nei momenti drammatici del turbinare dei soccorsi in mare, ma anche negli sguardi al linguaggio dei corpi del padre, dello zio morente, in una nuvola di ascolto, dei rapporti, dei sintomi, di un dolore che sembra destino inscritto negli esseri umani e nel mondo, precipitat­o nei nostri piccoli pregiudizi o slanci di compenetra­zione davanti alla sofferenza degli altri, specchio di noi stessi.

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 ??  ?? Davide Enia, romanziere e drammaturg­o. A lato una scena de «L’abisso», lo spettacolo di Enia tratto dal suo libro «Appunti per un naufragio»
Davide Enia, romanziere e drammaturg­o. A lato una scena de «L’abisso», lo spettacolo di Enia tratto dal suo libro «Appunti per un naufragio»

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