L’omaggio di Fresu a Chet Baker
L’artista suonò in città la prima volta nel 1959 e ci visse negli anni 60. Un club portava il suo nome
Una delle stelle più luminose della «Strada del Jazz» tra via Orefici e via Caprarie, lastricata di ricordi di grandi interpreti americani passati per Bologna nella sua età dell’oro del jazz, è quella di Chet Baker. Il trombettista «bello e maledetto», nato in Oklahoma prima di passare in California con Charlie Parker e poi con Gerry Mulligan, ha vissuto a lungo in Europa. Anche in Italia, dove trascorse un anno nel carcere di Lucca per possesso di droga. Negli anni Sessanta l’«angelo del jazz» visse a intermittenza, per qualche tempo, anche a Bologna, città che gli è rimasta profondamente legata. Tanto che poco tempo dopo la sua morte, avvenuta in circostanze poco chiare cadendo dalla finestra di un albergo di Amsterdam nel 1988, nella centrale via Polese la famiglia Baroni aprì un jazzclub a lui dedicato, che ha portato il suo nome fino al cambio di gestione e di dicitura nel 2011.
Baker era arrivato a Bologna una prima volta già nel 1959, accompagnato dal pianista triestino Amedeo Tommasi, ospite d’onore al Palasport della seconda edizione del «Festival del Jazz» lanciato da Alberto Alberti e Cicci Foresti. Un festival a cui Baker sarebbe rimasto affezionato, tornandovi più volte sino al 1985, nella Sala Europa, insieme ad altri musicisti illustri come Dizzy Gillespie e Cedar Walton.
Proprio Alberti e Foresti, con altri amici jazzofili bolognesi come Gigi Cremonini e Francesco Lo Bianco, gli stettero vicino spesso e volentieri nei suoi travagliati anni italiani. In particolare Lo Bianco, batterista prestato all’odontoiatria scomparso due anni fa, uno dei padroni di casa del jazz bolognese per dirla con Pupi Avati, tra lo studio domestico in via Rizzoli e la cantina di Galleria del Leone sotto il Roxy Bar, aveva più di una volta rimesso Baker in condizione di suonare. Arrivando a preparargli una speciale dentiera dopo che i problemi di droga gli avevano portato via i denti anteriori, indispensabili per un trombettista. Anche se c’è ancora chi sostiene che i suoi problemi dentari fossero nati da regolamenti di conti con pusher senza troppi riguardi.
La presenza di Baker a Bologna negli anni in cui la città era una delle capitali del jazz continua ad aleggiare ancora oggi, sul filo della memoria dei suoi ultimi indimenticabili concerti.
I due che lo video protagonista, più come cantante che come trombettista a dire il vero, due mesi prima della morte, al circolo Arci Music Inn in via della Birra. O quello di poco precedente al Teatro Celebrazioni, a cui partecipò anche lo scrittore bolognese Giampiero Rigosi, sceneggiatore con l’amico Carlo Lucarelli della serie tv dedicata all’Ispettore Coliandro.
Una decina d’anni fa Rigosi ha scritto Allucinèscion, libro-cd di musica e parole per l’editore faentino Moby Dick. Storia di un trombettista dilettante ingaggiato per suonare in un concerto proprio per la grande somiglianza con Chet Baker. Innescata dall’acquisto, qualche anno prima, di un vecchio vinile usato, «Hallucination» del 1962, live di uno dei tanti concerti bolognesi di Chet Baker, in quintetto con il chitarrista belga Renè Thomas. Il libretto introduttivo del cd si apre con le parole di Paolo Fresu: «Ho visto Chet Baker l’altra sera in via Indipendenza, portava a tracolla la sua tromba e guardava le vetrine».