«Pacificazione difficile Non c’è una sola memoria»
«La storia è divisione, è conflitto. Non è un generico “volemose bene”». Mario Isnenghi, storiografo del Novecento e presidente dell’Istituto veneziano per la Storia della Resistenza, sa che una memoria condivisa non è facile. Ma sospetta anche che «la presente situazione politica autorizzi» le scelte di chi, come certi sindaci, si rifiuta di festeggiare la Liberazione. «Lasciare correre non si può», dice.
«La storia è divisione, è conflitto. Non è un generico “volemose bene”». Mario Isnenghi è uno dei protagonisti della storiografia del Novecento. Ha scritto decine di libri che spaziano dal mito garibaldino all’Italia fascista, e presiede l’Istituto veneziano per la Storia della Resistenza. Una storia che, in Emilia-Romagna, prende i volti dei martiri di Marzabotto, del comunista Arrigo Boldrini, del capo del Cln di Ravenna Benigno Zaccagnini, della partigiana operaia Natalina Vacchi, «Lina», torturata e uccisa dai brigatisti neri. Ma a questo 25 Aprile, Isnenghi si accosta con una certa amarezza.
Si moltiplicano i casi di sindaci che si rifiutano di festeggiarlo. Sono un segnale che la preoccupa o casi isolati?
«Lasciare correre non si può. Perché mi viene da pensare che questo accada perché c’è chi si sente autorizzato a uscire allo scoperto, ma esistesse già prima. È meglio essere pessimisti che ottimisti. La possibilità che la presente situazione politica autorizzi queste cose a emergere non va scartata. Ci sono le leggi: le varie articolazioni dello Stato hanno il diritto e il dovere di intervenire quando ritengono che sia violata la normativa. D’altra parte non è che possiamo espellere dalla collettività la memoria del fascismo: è stato un grande fenomeno della società italiana, grande nel senso che è stato complesso, di spessore, e che non si è chiuso nel 25 Aprile. Un fenomeno che riguarda il sé collettivo dell’Italia».
Eppure c’è una parte del Paese che rivendica una propria memoria, antagonista a quella ufficiale.
«Passano i decenni, e continuiamo a dichiararci terribilmente smemorati, dominati dall’oblio. Poi succede che riaffiori una memoria di tipo fascistoide, e allora ce ne lamentiamo. Ma questo accade perché ci sono in sospensione memorie diverse: non esiste un’unica memoria degli italiani, semplicemente perché gli italiani non la pensano allo stesso modo. Quello che non cambia è l’uso a fini politici del passato. E i nuovi movimenti tettonici della politica fanno purtroppo riaffiorare i giacimenti profondi della storia d’Italia. Come nel 2011, per i centocinquant’anni d’Italia, abbiamo visto tornare i neoborbonici, gli austriacanti, i venetisti».
Queste due Italie si possono parlare? «Diffido un po’ degli inviti alla pacificazione della memoria. La verità è che la Storia è divisione, è conflitto: non è un generico “volemose bene”. Come ci si può mettere d’accordo? Al massimo si può cambiare idea. Si può fare come fecero molti soldati partiti per la Russia convinti della giustezza della guerra all’Unione Sovietica, che tornarono con un’altra visione, come Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern».
Quella che fa più rumore oggi è la critica da destra alla Resistenza. In passato, però, la sinistra ha avuto la sua quota di responsabilità. I partigiani cattolici, i giellisti, i monarchici, i socialisti. C’è stato oggettivamente un tentativo di ridimensionare il loro ruolo da parte dei comunisti?
«Su questo rimando ai numeri dei resistenti effettivi: i garibaldini erano molti di più. I comunisti scelsero di richiamarsi alla figura di Garibaldi proprio per sottolineare la coerenza con il progetto risorgimentale. Certo, che gli azionisti siano stati importantissimi, e così anche i cattolici, non lo nega nessuno».
Una buona parte della storiografia se n’è dimenticata, almeno in passato.
«Ripeto, un ritorno alla concretezza delle cifre non sarebbe male. E poi, i primi a cercare di marginalizzare il contributo dei propri oppositori alla vita repubblicana furono i democristiani di De Gasperi, quando ruppero il governo di unità nazionale. Non certo i comunisti».
Almeno in questo 25 Aprile riusciremo a evitare i fischi alla Brigata Ebraica che puntualmente accompagnano i cortei?
«Riconoscere la differenza tra la Resistenza ebraica e il comportamento dello Stato d’Israele è un problema. Per tutti. Detto questo, si tratta di episodi significativi e importanti, ma fortunatamente minoritari».
La Storia è divisione, è conflitto, non un generico volemose bene»