TRE REGIONI, UNA SOLA SFIDA
Il nuovo Triangolo industriale, architrave dell’economia italiana, è composto da tre regioni che condividono alcune caratteristiche strutturali di fondo: in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto robusta è la base manifatturiera e spiccata è la vocazione all’export. Al tempo stesso, ognuna delle tre vanta alcune caratteristiche distintive. Più volte, su queste colonne, abbiamo esaminato le principali specializzazioni produttive ponendo in rilievo la leadership della manifattura emiliana vis-àvis quella veneta nel macrosettore costituito da automotive, meccanica avanzata e meccatronica. È qui che ricade, per portare un esempio illuminante, il distretto bolognese delle macchine per imballaggio (la celebre Packaging Valley). Abbiamo altresì posto in rilievo la tendenza dell’industria emilianoromagnola — e in questo caso lo stesso accade in Veneto — a sviluppare nuove specializzazioni sempre più basate sulla scienza. Si pensi, al riguardo, ai distretti del biomedicale (Mirandola, Bologna, Padova) e all’industria farmaceutica. Dove l’Emilia-Romagna sta sviluppando, per restare al campo dell’alta tecnologia, una nuova leadership è nell’Ict e nei Big Data, ponendosi così in diretta concorrenza con Milano, la città italiana più europea e cosmopolita. Che cosa suggeriscono queste evidenze? Si tratta di un insieme di fortunate congiunzioni astrali (qualche genio isolato che si è trovato a viaggiare lungo la Via Emilia)?
O,piuttosto, il frutto di forze che si muovono nel profondo (un sistema o modello che si muove in maniera corale)? E se è vera — come noi crediamo — questa seconda interpretazione, e pur senza sottacere il ruolo giocato da alcuni imprenditori-innovatori assai brillanti, quali sono queste forze? La teoria economica e la ricerca empirica sono concordi nell’enfatizzare la centralità degli «investimenti in conoscenza» che possiamo declinare con ricerca e sviluppo (R&S) e capitale umano. Ebbene, come stanno le cose nel Triangolo? Aiuta a gettare luce sulla questione una recente elaborazione della Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo presentata a fine marzo. La spesa totale in R&S in percentuale sul Pil è pari all’1,8% in Emilia-Romagna (1,3% da parte delle
imprese, più 0,5% della mano pubblica), all’1,2% in Lombardia (0,9% più 0,3%), all’1% in Veneto (0,7% più 0,3%). Questi investimenti — prosegue l’argomentazione — dipendono molto dal «traino della meccanica» (e dell’automotive, dell’elettrotecnica, dell’elettronica) specializzazioni che vedono, lungo tutta la Via Emilia, la forte presenza di distretti industriali di successo. Con la parziale eccezione dell’Emilia-Romagna, quindi, neppure le regioni del nuovo Triangolo riescono a superare la media italiana negli investimenti in R&S, ferma intorno all’1,3% sul Pil, con il Piemonte prima regione (2,1%). La media italiana, a sua volta, è molto lontana da quella raggiunta nei principali Paesi europei con i quali l’Italia è solita confrontarsi: in primis la Germania, che è intorno al 3%, l’obiettivo posto dall’Unione europea nelle sue strategie di crescita e occupazione. Gli addetti alla R&S e il numero di brevetti registrati all’European Patent Office — ecco altre elaborazioni esposte da Intesa Sanpaolo su dati di fonte Istat — confermano il primo posto dell’Emilia fra le tre regioni del Triangolo. Di più: è maggiore, sempre qui, la dotazione di laureati in materie scientifiche e tecnologiche. Siamo così passati, senza soluzione di continuità, da un tipo di investimento in conoscenza (R&S) all’altro (capitale umano), fra loro indissolubilmente interrelati. E che qualcosa di importante stia accadendo, da un po’ di anni a questa parte, non solo nell’economia ma anche nella società emiliano-romagnola, ce lo dicono i dati sui flussi di capitale umano qualificato. Difatti, all’«emorragia» di laureati fra i 25 e i 39 anni subita del Veneto nel biennio 20162017, fa riscontro l’«attrattività» dell’EmiliaRomagna (in buona compagnia con la Lombardia). La strada lungo la quale proseguire è tracciata sia per l’EmiliaRomagna sia per le altre due regioni del Triangolo: aumentare gli investimenti in conoscenza, che — qui e ora — significa, per tutte e tre, investire di più in laboratori di ricerca e talenti; rafforzare le cooperazioni fra università aventi sede nella stessa regione, e poi oltre; potenziare l’istruzione tecnica superiore; incentivare le start-up; istituire, sul modello tedesco, un Fraunhofer a titolo sperimentale e a livello sovraregionale. Fra tre regioni così, dalle quali dipende largamente il futuro della manifattura italiana, il vero meccanismo al lavoro è, e deve essere, quello di cooperazione-competizione. Ha un suo fascino, certo, la gara a primeggiare in Italia. Ma la sfida vera è tenere il Paese saldamente legato all’Europa: una sfida, questa, che va al di là delle possibilità di ogni comunità regionale individualmente presa per quanto grande essa sia.