Confessioni di uno chef
principale Il tratto della sua cucina? L’unione tra tecnica, materia prima e follia.
Il suo piatto migliore?
Quello ancora da inventare.
La sua madeleine, ossia il suo piatto della memoria? Parmigiana di melanzane.
Chi l’ha iniziata alla cucina? Mia madre e mia nonna. Per chi le piacerebbe cucinare?
Ho alle spalle esperienze in realtà d’élite, adesso voglio arrivare anche a chi, sulla carta, non potrebbe permettersi certi piatti. Il suo motto?
Non è finita finché non è finita.
Com’è il suo frigo di casa? Vuoto.
Una musica per la sua cucina?
Hip hop. E rock. E reggae.
Quale libro consiglierebbe agli amanti del mangiar bene? Kitchen confidential.
Se non avesse fatto lo chef, oggi sarebbe… Nel mondo dell’arte.
Fuori dalla sua cucina, la sua passione?
La Fortitudo (Fossa). Gli amici di tOur-tlen. E l’arte di strada. Una cucina del mondo da riscoprire?
Thailandese, purché autentica.
Il suo cliente ideale? Colui che mi aiuta a crescere. Un vino di cui non si stanca mai? Vintage Tumina Jermann. Cosa non sopporta in cucina? La presunzione. Chilometro zero o chilometro mille? Solo se etico: chilometro zero. Tradizione o contaminazione?
Tradizione come punto di partenza per contaminare. Cucina vegetariana, vegana, onnivora: preferenze? L’uomo è nato per mangiare tutto. Un indirizzo da consigliare in EmiliaRomagna? Antica Trattoria di Sacerno.
Un ristorante che vale un viaggio all’estero? Dessirier a Parigi.
Il suo sogno nel cassetto?
Portare in strada cibo di lusso. Freak&chic. Così sto cercando di creare Casa Sordi.