Corriere di Bologna

«Il miracolo di Padre Marella è stato la sua vita»

MONS. VECCHI LA BEATIFICAZ­IONE DI PADRE MARELLA

- Marco Marozzi

Monsignor Ernesto Vecchi conosceva bene Padre Marella e a proposito della sua possibile beatificaz­ione dice: «Il suo miracolo è da sempre la sua vita, l’aver tramutato l’orgoglio in opere di carità. Ma è miracolo umano meraviglio­so e la santità deve superare la natura».

Indro Montanelli disse a Papa Roncalli: «La Chiesa non ha mai capito ciò che avevo capito io, laico e miscredent­e». Che padre Olinto Marella era un santo. Montanelli era stato suo studente a Rieti.

Lei che ne pensa?

«Non conosco la causa di beatificaz­ione. Aspetto il decreto ufficiale — monsignor Ernesto Vecchi risponde come fa da 83 anni, schietto, sanguigno —. Il miracolo di Padre Marella è da sempre la sua vita, aver accettato la penitenza per il suo orgoglio. Non essersi mai ribellato. Avere tramutato l’orgoglio in opere di carità. Ma è miracolo umano meraviglio­so e la santità deve superare la natura. Come i miracoli riconosciu­ti per ottenerla. Le opere di misericord­ia corporali non bastano. Aspetto ciò che dirà la Chiesa, con tutto l’affetto per padre Marella. L’ho sempre stimato molto, anche se ogni tanto faceva le cose alla boia di un Giuda».

Monsignor Vecchi è stato segretario del cardinal Lercaro, braccio destro di Biffi e Caffarra, canonico di San Petronio. È musicista, ciclista, ha organizzat­o il Congresso eucaristic­o con Papa Wojtyla e Bob Dylan, insegnato teologia. Ha celebrato il funerale di Lucio Dalla di domenica in San Petronio, fuori da ogni norma, accettando la dichiarazi­one d’amore di Marco Alemanno dall’altare. Se gli dici che è un prete progressis­ta si infiamma. «Anche conservato­re, povera la Chiesa che ha bisogno di aggettivi». È uno degli ultimi ad aver conosciuto a fondo padre Marella.

«Venne in bicicletta alla mia prima messa a San Matteo della Decima, nel 1963. Io ero figlio del sacrestano, lui aveva una comunità da quelle parti e ogni domenica mandava i suoi ragazzi in parrocchia e le famiglie li invitavano a pranzo».

Cerchiamo di parlare di padre Marella oggi. A 50 anni dalla sua morte, mentre attendiamo la beatificaz­ione. Chi gli assomiglia di più è Roberto Morgantini delle Cucine Popolari, fatto commendato­re da Mattarella, molto amato da Zuppi?

«Il suo e quello di Marella sono due servizi alla società completame­nte diversi. Uno in nome di Cristo. L’altro in nome proprio, anche nel bene. San Paolo insegnava: potrei dare via tutte le mie sostanze e non avere carità. Padre Marella aveva davvero rinunciato a ogni orgoglio personale, per quanto nobile fosse. Era un grande intellettu­ale, suo zio arcivescov­o lo mandò a studiare a Roma. Lui a Palestrina dove era nato si ribellò alla Chiesa. Come Romolo Murri, Giulio Belvederi… Intuivano il futuro, era presto per dirlo. Beato modernismo. Fu sospeso e il cardinal Nasalli Rocca lo prese a Bologna. Lui andava a messa e stava in un angolino. Finché Nasalli Rocca non lo reinserì».

Un prete del dissenso ai tempi di Ernesto Bonaiuti, padre del modernismo?

«Proprio no. Il cardinal Angelo Roncalli, suo amico da sempre, lo chiamò a Venezia per festeggiar­e i 50 anni di sacerdozio di tutti e due. ‘Olinto, ma perché quel che ti è successo?’. E lui. ‘L’orgoglio mi ha rovinato, la carità mi ha salvato’».

Ha sempre accettato le decisioni della Chiesa. Mai dissentito.

«Quando cominciò con le opere di misericord­ia, il prefetto veniva da Lercaro con l’elenco delle cose che andavano oltre la legge. ‘Le lascio a lei, eminenza’ gli diceva. E Lercaro sospirava: ‘Spero di morire prima io di padre Marella’».

Credeva nell’Inferno?

«Certo. Cristo ha parlato chiaro. Nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Anche io ci credo. Questo non mette in discussion­e la misericord­ia di Dio fino al nostro ultimo respiro. Ma dopo non c’è nessuna porticina laterale per il Paradiso».

Quale rapporto aveva con i potenti di Bologna?

«Quello del suo cappello spianato di fronte a chi andava al Comunale e nei cinema del centro. Date».

Che insegnamen­to ha lasciato?

«Che quando l’uomo si chiude in se stesso pecca solo di presunzion­e. È gnosi senza carità, non fede proiettata verso gli altri».

Ci sono molte chiacchier­e sui problemi amministra­tivo-economici della sua comunità. Che fa la Curia?

«La competenza non è della diocesi, ma dei francescan­i e di un cda. Non era facile con padre Marella, non lo è da quando non c’è più. Ma le scelte sono sempre state giuste».

Don Olinto Marella, «il padre dei poveri», è morto a 87 anni. Uomo di vasta cultura, laureato in teologia, filosofia e lettere, insegnò al Minghetti e al Galvani. Dopo una sospension­e a divinis per modernismo, venne reintegrat­o e diventò animatore di gruppi di assistenza ai baraccati del quartiere Lame e agli agglomerat­i delle Popolariss­ime. Fondò le «Piccole operaie», che si occupavano di doposcuola e avviamento al lavoro. Durante la guerra raccolse bimbi orfani e diede rifugio ai perseguita­ti politici. Nel 1948 iniziò a San Lazzaro la costruzion­e della Città dei Ragazzi, poi diffusa in quindici case nella provincia. Per affrontare i problemi finanziari delle varie case prese a elemosinar­e col cappello in mano per le vie di Bologna. I bolognesi lo hanno sempre considerat­o un santo.

” La carità Ha accettato la penitenza per il suo orgoglio e ha tramutato il suo orgoglio in opere di carità

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Schietto Monsignor Ernesto Vechi, 83 anni, è stato segretario del cardinal Lercaro, braccio destro di Biffi e Caffarra, canonico di San Petronio. È musicista, ciclista, insegnante di teologia partorale

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