Col debutto di «Selfie»
Cineteca: la Napoli borderline nel film di Ferrante
Nell’estate del 2014, nel rione Traiano di Napoli, Davide, un ragazzo di sedici anni, muore colpito durante un inseguimento dal carabiniere che lo ha scambiato per un latitante. Ma Davide non aveva mai avuto problemi con la giustizia anche se, come tanti adolescenti cresciuti in quartieri difficili, aveva lasciato la scuola e sognava di diventare calciatore.
È partito da questo episodio di cronaca il regista pugliese Agostino Ferrente per il suo film «Selfie», presentato all’ultimo Festival di Berlino e in programma questa sera alle ore 20 a Bologna, al cinema Lumière di Piazzetta Pasolini alla presenza del regista. Ferrente, studi al Dams di Bologna prima delle collaborazioni con Alberto Grifi e Vittorio De Seta e la realizzazione del film «L’Orchestra di Piazza Vittorio», ha chiesto di raccontarsi a due sedicenni del Rione Traiano, amici fraterni, diversi e complementari. Alessandro è cresciuto senza il padre, che dopo la separazione dalla madre si è trasferito lontano da Napoli. Ha lasciato la scuola dopo una lite con l’insegnante che pretendeva imparasse a memoria «L’Infinito» di Leopardi. Ora fa il garzone in un bar, guadagna poco, ma ha un lavoro onesto in un quartiere dove lo spaccio, per i giovani disoccupati, è un ammortizzatore sociale facilmente accessibile. Pietro ha invece frequentato
una scuola per parrucchieri, ma al momento nessuno lo prende a lavorare con sé. Il padre, pizzaiolo, ha un lavoro stagionale fuori città e torna a casa una volta alla settimana. I due hanno accettato la proposta di Ferrente di auto-riprendersi
con il suo iPhone per raccontare in presa diretta il proprio quotidiano, il quartiere che si svuota d’estate e la tragedia di Davide. Aiutati dalla guida del regista, oltre che fare da cameraman i due interpretano se stessi guardandosi sempre nel display del cellulare, come fosse uno specchio in cui rivedere la propria vita. Il film è dunque un inedito racconto in «video-selfie» di Alessandro e Pietro e degli altri ragazzi che partecipano, alternato con le immagini gelide delle telecamere di sicurezza che sorvegliano una realtà apparentemente immutabile.
«I quartieri popolari di Napoli - osserva Ferrente - sono stati raccontati in lungo e in largo. Anch’io nel mio piccolo l’ho fatto, cercando “le cose belle” nascoste tra le rovine frutto del disinteresse delle istituzioni, i fiori che resistono nonostante tutto.
La mia nuova ossessione era raccontare gli sguardi di questi ragazzi, concentrandomi non su quello che vedono, che oramai tutti conosciamo, ma sui loro occhi che guardano».