L’ECONOMIA OLTRE IL PIL E L’EXPORT
Ci sono degli indicatori descrittivi della nostra economia che possono essere misurati: il Prodotto interno lordo (Pil) è uno di questi. Pur con tantissimi limiti — giustamente famoso è il discorso di Robert Kennedy all’Università del Kansas del 18 marzo 1968 — è ancora oggi l’indicatore principale per misurare la ricchezza di una nazione (o di una Regione).
Che cosa dicono, al riguardo, le ultime misurazioni? Per l’EmiliaRomagna, pienamente inserita com’è nell’economia europea, lo «Scenario» reso noto di recente da Unioncamere regionale e Prometeia (luglio) attesta il rallentamento della crescita: se fra il 2015 e il 2018 il Pil è cresciuto, anno dopo anno, fra l’1,5 e il 2%, in questo biennio le cose non andranno più così bene (+0,6% nel 2019 e +0,9% nel 2020).
Disponiamo poi di misurazioni per altre importanti variabili economiche, quali ad esempio il valore aggiunto per branca di attività economica (agricoltura, industria, servizi) e il commercio internazionale (import-export). Tutt’e due queste serie di dati contribuiscono a svelare il carattere speciale dell’economia emilianoromagnola, che conserva una forte base manifatturiera (oltre il 25% del valore aggiunto), e una spiccata propensione all’export (con più di 63 miliardi di euro, è la seconda regione esportatrice d’Italia e la prima per export procapite).
El’elenco potrebbe continuare: la produttività, l’occupazione, gli investimenti. Ma nelle misurazioni, per così dire, tradizionali (standard) possiamo fermarci qui giacché, nel frattempo, altre linee di ricerca e altre metodologie d’analisi si sono fatte strada.
Nel 2013 il Cnel e l’Istat presentavano il «Primo rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile (BES)», ponendo — citiamo — «l’Italia all’avanguardia nel panorama internazionale in tema di sviluppo di indicatori sullo stato di salute di un Paese che vadano oltre il Pil». Numerosi (dodici) gli indicatori presi in considerazione, quali:
la salute, l’istruzione e la formazione, il lavoro e la conciliazione dei tempi di vita, il benessere economico e la povertà, le relazioni sociali, la politica e le istituzioni, la sicurezza, il benessere soggettivo, il paesaggio e il patrimonio culturale, l’ambiente, la ricerca e l’innovazione, la qualità dei servizi.
Una seconda linea di ricerca meritevole di menzione è quella riconducibile al concetto di «capitale sociale» reso celebre in Italia (e in Emilia-Romagna) dalla pubblicazione nel 1993 del libro «La tradizione civica nelle regioni italiane» dell’americano Robert Putnam. Da allora a oggi una fiorente letteratura si è sviluppata sull’argomento grazie al contributo di sociologi ed economisti che intendono il capitale sociale di una comunità «sia come l’insieme di norme etiche di fiducia e cooperazione, sia come reti di relazioni fondate su fiducia e affidabilità». Esso può avere un ruolo assai rilevante nel favorire lo sviluppo economico.
L’Emilia-Romagna evidenzia un’elevata dotazione di capitale sociale. E lo stesso può dirsi per il BES: basti pensare alle tante eccellenze presenti nella sanità regionale, così come nel suo sistema dell’istruzione e universitario. Giunti a questo punto, dunque, possiamo fermarci? In altri termini: ampliata la nozione ristretta di indicatori economici classici (Pil, export, eccetera) in favore di concetti (e relative misurazioni) capaci di cogliere lo sviluppo economico e sociale nei suoi molteplici aspetti, possiamo ritenerci soddisfatti? Forse sì. In verità, guardando le cose da Bologna e dalla Via Emilia, potremmo anche tentare di spingerci più in là al fine di meglio comprendere lo «spirito comunitario» — ne abbiamo già parlato sulle colonne di questo giornale — che pervade la nostra economia. Quello spirito comunitario che ha portato imprenditori illuminati a restituire al territorio una parte dei frutti che, proprio in virtù delle risorse (umane, in primis) di quel territorio, hanno raccolto.
Quello spirito che ha reso robusto il movimento cooperativo nelle sue varie articolazioni; ossia, dalle coop operanti nell’industria manifatturiera a quelle impegnate nel sociale.
Quello spirito che, qui in città, ha condotto al lancio del progetto «Insieme per il lavoro» con il coinvolgimento della Chiesa di Bologna, del Comune di Bologna, delle Associazioni imprenditoriali bolognesi, del sindacato e del terzo settore. E gli esempi potrebbero proseguire. È giunto il tempo, crediamo, di avviarci lungo la strada che porti a una migliore comprensione dell’origine e del concreto manifestarsi di questo spirito comunitario: una strada dove, con tutta probabilità, non serviranno raffinate formule algebriche e sofisticati algoritmi. Conterà di più la ricerca — per rifarci al discorso di Bob Kennedy che abbiamo richiamato in apertura — di «tutto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta».