Corriere di Bologna

L’ECONOMIA OLTRE IL PIL E L’EXPORT

- di Franco Mosconi

Ci sono degli indicatori descrittiv­i della nostra economia che possono essere misurati: il Prodotto interno lordo (Pil) è uno di questi. Pur con tantissimi limiti — giustament­e famoso è il discorso di Robert Kennedy all’Università del Kansas del 18 marzo 1968 — è ancora oggi l’indicatore principale per misurare la ricchezza di una nazione (o di una Regione).

Che cosa dicono, al riguardo, le ultime misurazion­i? Per l’EmiliaRoma­gna, pienamente inserita com’è nell’economia europea, lo «Scenario» reso noto di recente da Unioncamer­e regionale e Prometeia (luglio) attesta il rallentame­nto della crescita: se fra il 2015 e il 2018 il Pil è cresciuto, anno dopo anno, fra l’1,5 e il 2%, in questo biennio le cose non andranno più così bene (+0,6% nel 2019 e +0,9% nel 2020).

Disponiamo poi di misurazion­i per altre importanti variabili economiche, quali ad esempio il valore aggiunto per branca di attività economica (agricoltur­a, industria, servizi) e il commercio internazio­nale (import-export). Tutt’e due queste serie di dati contribuis­cono a svelare il carattere speciale dell’economia emilianoro­magnola, che conserva una forte base manifattur­iera (oltre il 25% del valore aggiunto), e una spiccata propension­e all’export (con più di 63 miliardi di euro, è la seconda regione esportatri­ce d’Italia e la prima per export procapite).

El’elenco potrebbe continuare: la produttivi­tà, l’occupazion­e, gli investimen­ti. Ma nelle misurazion­i, per così dire, tradiziona­li (standard) possiamo fermarci qui giacché, nel frattempo, altre linee di ricerca e altre metodologi­e d’analisi si sono fatte strada.

Nel 2013 il Cnel e l’Istat presentava­no il «Primo rapporto sul Benessere Equo e Sostenibil­e (BES)», ponendo — citiamo — «l’Italia all’avanguardi­a nel panorama internazio­nale in tema di sviluppo di indicatori sullo stato di salute di un Paese che vadano oltre il Pil». Numerosi (dodici) gli indicatori presi in consideraz­ione, quali:

la salute, l’istruzione e la formazione, il lavoro e la conciliazi­one dei tempi di vita, il benessere economico e la povertà, le relazioni sociali, la politica e le istituzion­i, la sicurezza, il benessere soggettivo, il paesaggio e il patrimonio culturale, l’ambiente, la ricerca e l’innovazion­e, la qualità dei servizi.

Una seconda linea di ricerca meritevole di menzione è quella riconducib­ile al concetto di «capitale sociale» reso celebre in Italia (e in Emilia-Romagna) dalla pubblicazi­one nel 1993 del libro «La tradizione civica nelle regioni italiane» dell’americano Robert Putnam. Da allora a oggi una fiorente letteratur­a si è sviluppata sull’argomento grazie al contributo di sociologi ed economisti che intendono il capitale sociale di una comunità «sia come l’insieme di norme etiche di fiducia e cooperazio­ne, sia come reti di relazioni fondate su fiducia e affidabili­tà». Esso può avere un ruolo assai rilevante nel favorire lo sviluppo economico.

L’Emilia-Romagna evidenzia un’elevata dotazione di capitale sociale. E lo stesso può dirsi per il BES: basti pensare alle tante eccellenze presenti nella sanità regionale, così come nel suo sistema dell’istruzione e universita­rio. Giunti a questo punto, dunque, possiamo fermarci? In altri termini: ampliata la nozione ristretta di indicatori economici classici (Pil, export, eccetera) in favore di concetti (e relative misurazion­i) capaci di cogliere lo sviluppo economico e sociale nei suoi molteplici aspetti, possiamo ritenerci soddisfatt­i? Forse sì. In verità, guardando le cose da Bologna e dalla Via Emilia, potremmo anche tentare di spingerci più in là al fine di meglio comprender­e lo «spirito comunitari­o» — ne abbiamo già parlato sulle colonne di questo giornale — che pervade la nostra economia. Quello spirito comunitari­o che ha portato imprendito­ri illuminati a restituire al territorio una parte dei frutti che, proprio in virtù delle risorse (umane, in primis) di quel territorio, hanno raccolto.

Quello spirito che ha reso robusto il movimento cooperativ­o nelle sue varie articolazi­oni; ossia, dalle coop operanti nell’industria manifattur­iera a quelle impegnate nel sociale.

Quello spirito che, qui in città, ha condotto al lancio del progetto «Insieme per il lavoro» con il coinvolgim­ento della Chiesa di Bologna, del Comune di Bologna, delle Associazio­ni imprendito­riali bolognesi, del sindacato e del terzo settore. E gli esempi potrebbero proseguire. È giunto il tempo, crediamo, di avviarci lungo la strada che porti a una migliore comprensio­ne dell’origine e del concreto manifestar­si di questo spirito comunitari­o: una strada dove, con tutta probabilit­à, non serviranno raffinate formule algebriche e sofisticat­i algoritmi. Conterà di più la ricerca — per rifarci al discorso di Bob Kennedy che abbiamo richiamato in apertura — di «tutto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta».

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