Omicidio del Pilastro, l’appello del parroco: «Finiamola con la droga»
Tante persone, palloncini colorati e le note di Marco Mengoni per l’addio a Nicola Rinaldi nella chiesa del Pilastro. Dall’altare il duro monito del parroco: «Basta droga, basta spaccio: ci rendono schiavi e ci fanno fare cose che non vorremmo». Sul posto in cui è morto il ragazzo, ora c’è una sua gigantografia.
Bianchi, rossi e blu, i palloncini vengono lasciati andare verso il cielo all’uscita del feretro. Per accompagnare il volo di Nicola Rinaldi, il ragazzo ucciso al Pilastro da un vicino di casa, in una lite che gli investigatori hanno subito inquadrato nell’ambito del traffico di stupefacenti.
Oltre al dolore profondo e alla rabbia dei parenti e degli amici, davanti alla chiesa di Santa Caterina c’è anche la speranza e la voglia di tutto un quartiere difficile, che quei palloncini li segue a lungo con lo sguardo come potessero portarsi via le angosce, allontanare l’idea di altri morti, altre lacrime di padri e madri, fratelli e sorelle. Lo dice con forza nella sua omelia anche don Marco Grossi, parroco della chiesa che si trova di fronte alla lapide in memoria delle vittime della Uno Bianca, là dove il sindaco Merola ha promesso la nascita di una caserma dei carabinieri, presidio necessario in una zona ricca di contraddizioni, eternamente in equilibrio tra rinascita, slancio e delinquenza, come lo era stata la vita di Nicky, che al Pilastro ci è nato ed è stato ammazzato. «Vorrei che il Signore ci concedesse questa grazia, che la morte di Nicola serva al nostro villaggio — dice don Marco dal pulpito — per darci uno scossone, farci riflettere profondamente. Far sì che tutti insieme lavoriamo per una maggiore libertà di ogni persona». Poi l’affondo: «Basta spaccio, basta droga, basta dipendenze che ci rovinano e schiavizzano, tolgono libertà, ci portano ad azioni che non vorremmo. La droga uccide noi stessi e le nostre famiglie». Ad accompagnarlo nella preghiera e nel monito a un’intera comunità c’è anche don Marcello Mattè, il frate dehoniano che segue le attività all’interno del carcere della Dozza, arrivato «per testimoniare la vicinanza» di chi ha conosciuto e ha condiviso una parte difficile del percorso di Nicola, che quando è stato ammazzato si trovava ai domiciliari per una rapina. Anima fragile e amata, si capisce dalla grande sofferenza di un addio reso ancora più insopportabile dai suoi soli 28 anni. Alcuni amici hanno stampato la sua foto sulle magliette: «Ciao Fratuzzo».
L’uscita dalla chiesa è un momento di commozione straziante ma composta, come l’applauso che l’accompagna. Guerriero di Marco Mengoni è la canzone scelta per ricordare un ragazzo che al di là di ogni cosa non doveva morire così. Lo ripetevano tutti a caldo quel 28 agosto, quando è stato trovato davanti all’aiuola di casa senza vita, dove ieri c’era la sua gigantografia, i mazzi di fiori, altri palloncini. Dove la furibonda rabbia di quel momento, quella sete di vendetta che ha quasi portato al linciaggio in strada dell’omicida, almeno per un giorno sembra aver lasciato spazio al dolore e alla condivisione del lutto. «Basta spaccio, basta droga»: don Marco lo ripete ancora una volta. Perché oltre il dolore ci sia una speranza per questa gente, che riempie la chiesa e resta per infiniti minuti in silenzio all’esterno, davanti alla bara. Provando a dire mai più.
L’omelia
«La morte di Nicola deve darci uno scossone, farci riflettere»