Corriere di Bologna

Chi è arrivato dopo Djordjevic E ha fallito

- di Enrico Schiavina

All’alba dei suoi 36 anni, Marcelo Huertas in questi giorni dice ancora la sua da playmaker titolare del Brasile, una delle sorprese del Mondiale. Lunga e onorata carriera, bei momenti a Barcellona, Vitoria ed ai Lakers, la vecchia volpe brasiliana in vita sua ha conosciuto una sola annata di grandi amarezze: alla Fortitudo, stagione 2008/09. Giocò malissimo solo quell’anno, il povero Marcelinho, e non per cattiva volontà (era la Gmac in cui Sacrati ormai non pagava più), a giudicare dal pianto disperato in cui scoppiò dopo la sconfitta di Teramo che sancì la retrocessi­one in A2. Sembrava invece stesse combattend­o contro qualcosa di più forte di lui, una forza oscura, capace di mandare in crisi molte altre brillanti menti di basket prima e dopo: la Maledizion­e di Djordjevic.

Tredici anni prima, estate 1996. Per motivi mai chiariti, e tutt’ora circondati da fitte nuvole di gossip, la miliardari­a Fortitudo di Seràgnoli decide di disfarsi di Sale Djordjevic, miglior playmaker d’Europa per distacco. Anzi, fa di più: gli paga metà del faraonico stipendio per starsene lontano, in NBA a Portland (avalla la decisione del padrone Don Sergio Scariolo, che ancora ieri, in Spagna-Serbia, gli ha dato un’altra botta, primo a batterlo in Cina: il mondo è proprio piccolo). Che l’americano che ne prenderà il posto soffra un’enorme pressione ci sta, ma che tutti o quasi quelli che ci hanno provato negli anni a venire si siano avviati verso il disastro, ha dell’incredibil­e. Un po’ per scherzo e un po’ sul serio, di Maledizion­e di Djordjevic si parla da quei tempi lontani e se ne parla ancora, ogni volta che un play americano in maglia Effe sbaglia qualcosa. Quasi un quarto di secolo più tardi, Demetri McCamey - certo non un fenomeno, ma talvolta in confusione come un bimbo del minibasket - ne è stato l’ultima vittima.

L’elenco è lunghissim­o, e chissà se lui, Djordjevic, ci ha mai fatto caso. Leggenda? Superstizi­one? Una sola cosa è certa: la cessione di Djordjevic fu la più sciagurata mossa di mercato della storia fortitudin­a, e fonte inestingui­bile di guai. Fin da subito. John Kevin Crotty, il bianco che per primo prende il posto del divino Sasha, non mangia neanche il panettone. Eppure aveva avuto una discreta carriera NBA prima, e ci torna dopo, per restarci: così scarso non poteva essere. Tagliato con ignominia, al suo posto Eric Murdock per qualche mese gioca anche bene ma in gara4 di finale a Treviso sbaglia non uno ma due tiri aperti per lo scudetto ‘97. Il rimedio, drastico, si pensa allora sia coprire d’oro David Rivers, il play più lucido d’Europa, ma anche i muri a Bologna sanno quale geniale idea gli venne, subito dopo il tiro da 4 di Danilovic (peraltro, al termine di una stagione molto insufficie­nte). Nel ’99 poca gloria per Damir Mulaomerov­ic, ma la Maledizion­e colpisce un altro grande nome, Vinny Del Negro. Preso per un paio di mediocri mesi durante il lockout NBA, fa in tempo a sbagliare un rigore da tre metri

(scarico di Myers, sconforto) sulla sirena in semifinale di Coppa Italia, contro Varese. Il primo scudetto arriva comunque nel 2000, sarà un caso ma in squadra non ci sono play americani. C’è Marko Jaric, che i danni alla Effe li farà l’anno dopo in bianconero, ma è un altro discorso. E sugli slavi la Maledizion­e sembra non avere effetto. Mentre sugli americani è una strage: l’anno dopo Adrian Autry non entusiasma, poi si infortuna, il minuscolo Eddie Gill che lo rileva non è malaccio ma la stagione ormai è nel fosso. Poi tocca a Boniciolli, che le prova tutte: per un motivo o per l’altro in pochi mesi di play americani ne cambia quattro. Chris Herren (un caso drammatico, arrivato già con problemi di alcolismo, proprio a Bologna cade nella tossicodip­endenza e sparisce subito), Anthony Goldwire, John Celestand, Rumeal Robinson, sulla carta tutti buoni giocatori, nella pratica tutte delusioni. Di play americani in Fortitudo non se ne vedranno più per un po’, negli anni di Basile e del Poz, ed a Milano Ruben Douglas porta il secondo scudetto (toh, è l’ultima partita della carriera di Djordjevic giocatore), ma è una guardia. L’elenco dei casi disperati però non è affatto finito. Tyus Edney, un tempo diabolico nano di Zalgiris e Benetton, arriva nel 2006, ma a 33 anni è già bollito. Moochie Norris, veterano fresco di otto anni in NBA, ha un talento evidente ma non ne ha più voglia. Colpiti anche giocatori di altre nazionalit­à: il tedesco Steffen Hamann, di recente l’inglese Teddy Okereafor, come detto Huertas, brasiliano, caso tra i più clamorosi.Poi però c’è stato anche chi alla Maledizion­e è riuscito a sfuggire: l’esperto Kiwane Garris tenne bene il timone nel 2005/06, Horace Jenkins detto l’Elettricis­ta illuminò alcuni ottimi sprazzi fino all’ultima apparizion­e della Effe ai playoff, nel 2008. Un paio di eccezioni che confermano la regola. Sempre per chi ci crede, ovviamente: l’anatema colpisce solo i play stranieri, per lo più americani, ma non quelli balcanici. Con Milos Vujanic, serbo, arrivano uno scudetto e una finale di Eurolega. Chissà se qualcuno ci ha pensato quando, per la stagione del ritorno in A, di un epocale derby da giocare proprio contro Djordjevic, hanno scelto Rok Stipcevic. Che è croato, quindi dalla Maledizion­e dovrebbe essere immune.

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