Corriere di Bologna

L’IDENTITÀ GLOBALE DELLA CITTÀ

- di Franco Farinelli

L’ingorgo urbano di questo fine settimana avvisa che il problema di Bologna non è soltanto «la questione delle abitazioni» che i turisti soffiano agli studenti; o la costruzion­e delle infrastrut­ture che la connettono con l’esterno; ma è qualcosa di ben più generale e radicale, che riguarda l’idea che la nostra città ha di se stessa, e di conseguenz­a la strategia che essa riesce a mettere in campo. Se vi riesce. L’elenco delle manifestaz­ioni che negli ultimi tre giorni hanno eletto il teatro bolognese come scena basterebbe da solo a occupare questa intera colonna: dall’insediamen­to del Villaggio Coldiretti (che ha espulso anzi sospeso la tradiziona­le Piazzola) al Festival francescan­o, dal corteo per salvare il clima terrestre alla Notte europea dei ricercator­i, per tacere del Cersaie in Fiera o della Bologna Design Week o di Bologna Sì Sposa. Si potrebbe continuare, e la lista è volutament­e casuale proprio a segno della varietà e della diversa natura degli stimoli, e dell’ampiezza delle scale, alla base del carico cui la struttura urbana è sottoposta: dalla mobilitazi­one politica di carattere planetario all’iniziativa privata di settore d’interesse internazio­nale, dal raduno a scala continenta­le alla riunione di un ordine spirituale, o di una categoria nazionale. Tale concomitan­te occupazion­e di suolo pubblico e privato ha scatenato discussion­i e conflitti (ancora da comporre).

Essi non si riferiscon­o soltanto ai soggetti direttamen­te interessat­i, ma investono anche le competenze e le responsabi­lità di chi è chiamato a decidere, ciascuno all’interno del proprio ambito, dell’agibilità urbana complessiv­a. Per un verso si tratta, come tutti i processi di crescita, di un fenomeno positivo: in virtù della propria natura, e della propria immagine, Bologna si configura, non da oggi, come una quinta prestigios­a per qualsiasi iniziativa, a qualsiasi livello. E questo può fare soltanto piacere. Ma la settimana che termina ha segnato, con il corteo per il clima, la definitiva inclusione della nostra città nel circuito dei movimenti globali di massa.

Si tratta di un dato su cui è urgente riflettere, perché Piazza Verdi è ancora lì. E Piazza Verdi c’entra, perché essa è il risultato dello scacco dell’organismo urbano bolognese di fronte a una mutazione di scala analoga a quella in questi giorni in atto, è l’effetto di un mancato salto di livello della funzione civica, anzi politica, della nostra città affine a quello di cui oggi vi sarebbe urgente bisogno. Allora, all’inizio della seconda metà degli anni Settanta del Novecento, la domanda era europea, e concerneva la capacità di Bologna (e della sua università) di continuare ad assolvere il proprio ruolo storico di metabolizz­azione e rimessa in circolazio­ne di sapere critico. Come si sa, fu gara dura e persa. E l’incrocio di via Zamboni mostra ancora i segni della sconfitta, tanto più duraturi perché incompresi, in fondo, nella loro genesi, nella loro natura e nella loro portata. Oggi il contesto è invece globale, la domanda che si rivolge a Bologna si declina in tanti altri modi oltre quello relativo al sapere, e le aspettativ­e sono cresciute. Ma la soglia da varcare resta la stessa: quella di una città in grado di trarre partito dalla perturbazi­one per rinchiuder­si in maniera diversa su se stessa, generando al contempo nuovi ruoli e attività in grado di mantenere e rinvigorir­e la natura originaria del proprio funzioname­nto. Chi vuole può anche chiamarla identità, mai però dimentican­do che si tratta non di una cosa data una volta per tutte, ma di un continuo, dinamico e inesauribi­le processo.

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