IL PASTORE D’EUROPA
Quando nel 2001 Giovanni Paolo II lo convocò a pranzo per annunciargli che l’avrebbe nominato patriarca di Venezia, Angelo Scola venne accolto con queste parole da papa Wojtyla: «Venezia deve essere la spalla di Roma». Chissà cosa si sarà sentito dire da Francesco monsignor Matteo Maria Zuppi quel giorno dell’autunno 2015 quando a Santa Marta, Bergoglio gli comunicò la decisione di mandarlo in terra emiliana. Di certo c’è un dato: se oggi si cerca nella Chiesa italiana - e finanche europea - la figura di un pastore d’anime, di un vescovo, di un uomo di governo ecclesiale, (da ieri) di un Cardinale in perfetta consonanza con Francesco, per trovarlo di sicuro si può suonare a via Altabella 6.
Non solo. La nomina di Zuppi a cardinale, ieri a Roma, ci spinge a domandarci se esiste un significato sociale per questo nuovo incarico ecclesiale del vescovo di Bologna. Qualche risposta la si può trovare partendo da un dato essenziale: con il governo bergogliano, la scelta del Papa di dare la berretta cardinalizia non è più legata al prestigio ecclesiastico o storico di determinate sedi episcopali: Venezia, per esempio, uno dei quattro patriarcati ancora esistenti in Occidente, è senza cardinale da anni.
Il titolo di cardinale ora identifica quei prelati che, secondo il vescovo di Roma, hanno la statura di rappresentare la Chiesa «in uscita» che Francesco vuole per assolvere il mandato cristiano nella società contemporanea. Ora. I due immediati predecessori di Zuppi - Caffarra e Biffi sono state figure ecclesiastiche non solo di diverso orientamento rispetto a don Matteo, ma sopratutto si sono concentrate sul dentro e non sul fuori della Chiesa. Fautori di un irrigidimento dell’identità cattolica di stampo wojtylianoratzingeriano, fedeli al primum i principi non negoziabili, sostenitori della linea della fermezza con l’Islam, con manifeste simpatie neppure tanto velate con il centrodestra, Biffi e Caffarra sono stati pastori di grande statura. Ma con una preoccupazione per il locale, per l’identità, verrebbe da dire in un atteggiamento di difensiva che non ha favorito una rilevanza sociale della chiesa di Bologna pari alla sua storia e alla sua tradizione. Con Zuppi la musica è cambiata, e anche in fretta. Nel giro di solo tre anni dal suo ingresso, Francesco ha fatto visita a Bologna, dando una sostanziale benedizione alla svolta sociale del presule romano, che accolse il papa con un pranzo con i poveri in San Petronio, scandalo per molti benpensanti. Zuppi stesso ha favorito la celebrazione, in piazza Maggiore, del summit interreligioso di Sant’Egidio, innervando la città delle diverse tradizioni religiose in cerca di pace e dialogo (la questionemoschea e l’integrazione dell’islam è sempre sullo sfondo, e non solo in un piatto di tortellini). Raduna duemila persone al Festival Francescano per dialogare con una terrorista (Adriana Faranda) e una vittima (la figlia di Aldo Moro, Agnese). Firma la prefazione di un libro proomosessuali, scritto dal gesuita Usa James Martin, sostenitore di un nuovo atteggiamento della Chiesa verso il mondo lgbt. Insomma, Zuppi sembra lavorare perché Bologna diventi la spalla di quella Roma che papa Bergoglio sta cercando di tratteggiare: una Chiesa che non si chiude davanti a nessuno, ma anzi va in cerca di tutti e tutte, perché sa che ascoltare il Vangelo ricevuto da Cristo è un diritto che ogni persona possiede.