Svampa, Biffi e Lercaro La tradizione bolognese tra liti e alleanze politiche
I predecessori Gli ultimi due arcivescovi Biffi e Caffarra hanno definito Bologna «disperata»
Il 112esimo successore di San Petronio segue la tradizione bolognese. Bologna con la porpora dell’Arcivescovo Zuppi torna a essere una sede cardinalizia. Don Matteo segue le orme di Carlo Caffarra, Giacomo Biffi, Antonio Poma e Giacomo Lercaro, per citare i casi più recenti di arcivescovi diventati cardinali. Non è una regola, ma solo Enrico Manfredini degli ultimi 28 arcivescovi di Bologna non ha indossato la berretta cardinalizia: un infarto lo sorprese prima, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre del 1983.
Il predecessore di Zuppi, Carlo Caffarra, divenne cardinale nel 2006, per scelta di Benedetto XVI. E così, nel 2013, partecipò al conclave che elesse Bergoglio. Teologo rigoroso, pastore severo e netto, aveva firmato i dubia sulla famiglia, chiedendo chiarimenti a Papa Francesco in merito all’esortazione apostolica Amoris laetitia. I temi del matrimonio, della famiglia e della procreazione, d’altronde, sono sempre stati i suoi cavalli di battaglia (con posizioni nette: come quella contraria a qualsiasi forma di unione omosessuale). Le sue lotte furono anche sociali: si battè a fianco degli operai. E quando si ritrovò tra le mani la Faac decise di destinarne i proventi ai disoccupati. Restano celebri le tensioni con il sindaco Sergio Cofferati. «Spero che Cofferati incontri Gesù», disse a pochi giorni dal Natale del 2005.
Anche Giacomo Biffi lavorò a sostegno delle famiglie. Tra le iniziative, forse quella più celebre è l’Estate Ragazzi. Milanese, era entrato in diocesi nel 1984. Teologo ironico e pungente, si definì un «italiano cardinale» in un suo libro. Diceva di essere del «partito della Chiesa» e a Bologna si dovette confrontare solo con amministrazioni di sinistra, fino alle elezioni di Guazzaloca («un miracolo», le definì). «Non esiste il diritto all’invasione» disse in riferimento agli islamici, ma ancor più famosa e controversa, sotto le Due Torri è quella definizione severa di Bologna: «Sazia e disperata». La porpora gli fu conferita da Giovanni Paolo II.
Antonio Poma, che lo precedette, fu invece nominato cardinale da Paolo VI. Qui dal 1968 al 1983 eresse sei nuove parrocchie, costruì 34 nuove chiese, aprì una mensa per i poveri, assunse un impegno missionario per la diocesi di Bologna nella diocesi di Iringa in Tanzania. La Caritas diocesana nacque per sua volontà nel 1977.
Un altro cardinale celeberrimo è Giacomo Lercaro. Iniziò il suo percorso bolognese, dopo l’esperienza di Ravenna, descrivendo quella di Bologna come una «diocesi malata». A «frati volanti» affidò il compito di combattere gli avversari politici in occasione dei comizi e delle manifestazioni di propaganda. E spinse Dossetti a candidarsi nel 1956 alla carica di sindaco. Nello stesso anno espresse platealmente il proprio sdegno di fronte all’invasione sovietica dell’Ungheria. In città, cambiò posizioni e linea con gli anni. Si mise a dialogare con la sinistra al governo e con il sindaco Fanti si alleò per sostenere i più sfortunati. Nel 1966 ricevette la cittadinanza onoraria. Amministrazione e arcivescovo parlavano la stessa lingua sulla pace. Ma la condanna ai bombardamenti americani in Vietnam costò cara a Lercaro. Venne destituito.
Giocò un ruolo politicamente importante Giovanni Battista Nasalli Rocca. Di Piacenza, nel 2021 Benedetto XV lo destinò all’arcidiocesi di Bologna e due anni dopo Pio XI lo elevò a cardinale. Evitò diverse deportazioni mediando, con l’aiuto di sacerdoti, con le forze naziste che stavano occupando Bologna.
Anche i predecessori seppero farsi valere. Domenico Svampa, arcivescovo dal 1894 al 1907 a Bologna, venne celebrato con diversi articoli da New York Times come uomo di pace. Gli succedette Giacomo Della Chiesa che divenne Benedetto XV. Tentò (invano) di fermare il conflitto o come lo definì lui stesso «l’inutile strage» ma resta l’ultimo cardinale bolognese eletto pontefice.