L’Arsenale Sonoro e i «virtuosi» Le sonate dei maestri del violino
Domani al San Filippo Neri la seconda data del ciclo «Bach versus Händel»
Händel, da giovane, visse e lavorò in Italia dal 1706 e il 1710. Conobbe i grandi musicisti dell’epoca, e molti di loro continuò a incontrarli quando si trasferì in Inghilterra alla corte di Giorgio I, nel 1711. I suoi rapporti musicali con i virtuosi italiani, in special modo violinisti, mette in risalto il concerto di domani, nella sezione «Bach vs Händel» del ciclo autunnale «Il nuovo l’antico» di Bologna Festival. Alle 20.30 all’Oratorio di San Filippo Neri l’ensemble Arsenale Sonoro, formato da Boris Begelman (violino), Ludovico Takeshi Minasi (violoncello) e Alexandra Koreneva (clavicembalo) eseguirà composizioni di Arcangelo Corelli, Francesco Geminiani, Francesco Maria Veracini e, naturalmente, del compositore Sassone. In particolare di Corelli la famosa sonata per violino La Folia, la Sonata op.5 n.3 di Geminiani per violoncello, la Sonata per violino op.1 n.12 di Veracini, e tre brani per clavicembalo di Händel. Nato in Russia nel 1983, Boris Begelman, vive a Bologna.
Che rapporti intercorrono tra Händel e i tre italiani?
«Il titolo del concerto è “I viaggi di Händel. Il rivoluzionario, il virtuoso e il matto”. Händel conosceva bene i tre violinisti, e alcuni di loro hanno avuto un ruolo importante nella sua vita».
Iniziamo dal rivoluzionario? È Corelli?
«Certo. Händel lo conobbe durante il suo viaggio in Italia, a Roma, e lavorò con lui. Corelli ha cambiato la musica del suo tempo, dando impulso alla sonata a tre, al concerto grosso, assegnando un nuovo ruolo al violino. Le Sonate per violino op. 5 mutarono il panorama della nostra arte nella prima parte del ‘700».
Geminiani è il virtuoso?
«Proprio così. Sulla sua vita si raccontano vari aneddoti: a Napoli fu messo nella sezione delle viole, perché nessuno riusciva a seguirlo tra i violini, era imprevedibile. A Londra ottenne un successo veloce: chiamato a suonare davanti al re, volle Händel come clavicembalista, e solo il Sassone riusciva a tener dietro alle sue cascate di note».
Cos’era un virtuoso?
«Uno capace di scrivere musiche difficili da eseguirsi, non solo per i contemporanei, ma anche per noi posteri, nonostante l’evoluzione della tecnica».
Perché Veracini è il folle?
«I suoi stessi contemporanei lo chiamavano “capo pazzo”. Scappò da Dresda, diceva che i tedeschi volevano ammazzarlo e si buttò da una finestra. Qualcun altro lo nominava “furioso”. Era anche lui un virtuoso, soprattutto della mano destra. Si racconta un aneddoto: Tartini, quando lo sente suonare, si ritira dalle scene per studiare l’uso della mano destra. Anche Veracini arriverà a Londra e incontrerà Händel».
Quali musiche di Händel ascolteremo?
«Il Sassone era un notevole clavicembalista. Eseguiremo due sonate per violino e basso continuo, col clavicembalo, la
Sonata in re maggiore HWV 371 e la Sonata in sol minore HWV 364; e poi la Suite in la maggiore HWV 426 per clavicembalo solo. Spesso sostituiva il violoncello col cembalo, per suonare solo con Geminiani».
I virtuosi improvvisavano molto. Quale difficoltà trovate oggi a ricostruire quel modo di suonare?
«Nel ‘700 era comune abbellire la musica. Oggi ci basiamo su quello che rimane scritto, aiutandoci con i trattati dell’epoca che spiegano come improvvisare. Per qualche composizione, abbiamo il normale spartito ma anche una parte, scritta da un allievo, che riporta gli abbellimenti: tantissime note in più».