«Milizia della cultura»: versi e rime per l’umanità
Oggi al «Festival Internazionale» di Ferrara l’iracheno Kadhem Khanjar e il progetto di letture nei luoghi di guerra
IPaesi Arabi, le guerre, la primavera delle rivoluzioni. Come si può raccontare la storia che stiamo attraversando con la poesia? Come si può dare ai fatti un’altra prospettiva? Un libro pubblicato da Le Monnier, «In guerra non mi cercate», un’antologia con i componimenti di 46 scrittori di un variegato mondo, vicino e lontano allo stesso tempo, il Maghreb, il Medio oriente, ci porta nella «poesia delle rivoluzioni arabe e oltre», come recita il sottotitolo.
Sarà presentato oggi al festival di giornalismo della rivista Internazionale a Ferrara alle 11.30 in piazza Verdi. Sarà ospite il poeta iracheno Kadhem Khanjar, in dialogo con Francesca Corrao e Francesca Gnetti. Khanjar ha fondato il gruppo «Milizia della cultura», che legge poesie in zone di guerra.
Ci racconta: «La Milizia è un vero e proprio movimento, fatto dalle persone, nato nel 2013, quando ho deciso che era giunto il momento di andare in strada, di coinvolgere i giovani del paese, per cambiarlo attraverso la poesia. La prima cosa che ho fatto è cercare di spiegare a tutti che cos’è la poesia, come si fa la poesia, e una volta chiarito questo abbiamo organizzato vere e proprie performance, eventi artistici che abbiamo svolto in luoghi particolare, per esempio all’interno di autobombe già esplose, nei campi minati con bombe inermi, nei tantisc’era simi luoghi dove sono state attive le forze americane, per esempio ai piedi di alcuni aeroplani, nelle zone circondate dai muri e dai fili spinati dietro i quali gli americani si barricavano».
Lui ha iniziato a scrivere poesie, giovanissimo, nel 2003. Ricorda: «Tutto è iniziato durante l’invasione degli Stati Uniti in Iraq, quando il divieto di uscire di casa. Dovevamo stare rinchiusi tutto il giorno, non si poteva fare niente, non avevamo relazioni con nessuno all’esterno delle nostre case, non c’era internet, era difficile telefonare. Avevo 15 anni, all’epoca. In casa mia c’era una piccola libreria, con cinque libri. Potevo solo leggere, e tra questi volumi ce n’era uno di poesia. Da lì mi sono appassionato, anche se in realtà in quegli anni io stavo studiando arti teatrali».
L’assunto è che la poesia può essere curativa, nei luoghi toccati dalla guerra, dal terrorismo, dall’orrore. «La poesia arriva al cuore», ne è certo, e perciò può perfino trasformare il sangue. «Con i miei compagni della “Milizia” leggiamo poesie, mostriamo cartelli con i versi delle poesie, anche prendendo di mira l’autoproclamatosi stato islamico. Noi vogliamo parlare di essere umani, vogliamo che in tutti i luoghi toccati dalla guerra, distrutti, rovinati probabilmente in modo definitivo, si parli di esseri umani».