PIAZZOLA UNO SPAZIO ANTI-STORICO
Varie ed eventuali dell’autunno bolognese. Non ci vuole un post dell’assessore Altini per capire che, forse, la piazzola è una piattaforma commerciale anti-storica. Metà sfogo, metà presa d’atto che aiuta e rinforza la domanda, quasi ingenua se abbia senso commerciale e sociale? La Piazzola, ovvero del mare magnum di carte, cartoni, cartacce in Piazza VIII Agosto e della domanda spontanea e legittima su «chi paga»? Non è un bello spettacolo vedere vagare nella notte, in ordine sparso, quel che resta del mercato della Piazzola. Il mercato c’entra poco o niente. Immagino ci si possa ritrovare nella malaugurata ipotesi a comporre uno slalom visivo e fisico per oltrepassare involucri, scatole, fogli. Inutile ribadire che una città con delle ambizioni dovrebbe prestare attenzione ad ogni angolo e spazio. Però, davvero, Piazza VIII Agosto non può essere conciata così, tantomeno il discorso va ridotto, esclusivamente, al polemico ping-pong su diritti e doveri dell’occupazione del suolo pubblico. La resa è visiva. Magari si trattasse di un cedimento del gusto estetico, del decoro rivendicato da un post indignato dell’assessore preposto, della frenesia che tutto sia a posto, prima del passaggio concordato dei mezzi di Hera. Non è possibile che al solo alzarsi di un refolo si scateni una tempesta di cartone. Due giorni dalla denuncia dell’ inaccettabile abbandono di rifiuti, disiecta membra di una piccola e grande forzatura, cioè che si tratti ancora di un mercato genuino, popolare, febbrile, caotico ma vivo.
Falsa prospettiva. Emersa, a chiare lettere, durante la finta contrapposizione con la piazza dei macchinari agricoli della manifestazione della Coldiretti. È tempo di andar oltre la petizione di principio, la minaccia corporativa sull’intangibilità e la fissità della Piazzola. Già la società destrutturata offre passaggi strettissimi per la risoluzione dei problemi, se poi, come nel caso specifico si aggiunge un’ idea fissa, un canone inamovibile lo scenario è, a dir poco, caotico. Gli spazi d’incontro e di socialità, da sempre, evolvono, si trasformano, svaniscono in favore o in conseguenza di altri e nuovi. Anche più divertenti. I concetti sono più importanti degli strali, delle ire, più o meno sedimentate, degli sfoghi sui social. Il presente per non essere atto mancato ha bisogno di analisi ostinata su ciò che non funziona o non potrà più funzionare. Persino discutendo su nuove prassi d’intervento e smaltimento dei rifiuti in e attorno alla Piazzola. Vado a memoria, di certo topperò, ma è, da anni, che le bancarelle non vendono più cose inutili. Ecco il problema per cui fare un giro in Piazzola è diventato un’esperienza allucinante. No limits. Un po’ come catapultarsi in Blade Runner. La Piazzola è, ormai, un mercato omologatissimo, dove non sorridi più neanche se storpiano maldestramente i nomi delle note ditte di sandali e ciabatte. Nate magre in gonnino di jeans che smottano camicie da notte delle nonne, chincaglieria pseudoartigianale, dove tutto è uguale. Dappertutto: dai tappetini per la doccia alle cover dei telefoni, dalle calzature all’ingrosso alle magliette. Dirlo semplicemente equivale ad un vero e proprio atto di ribellione verso uno sgangherato selfie di città, prodotto da una forma di mercato che, in tutta franchezza, mostra la corda. Minimo apologo della necessità del cambiamento ineludibile. Di forma e di stile. Ah le questioni di stile.