Export boom, ma il Pil arranca «Locomotiva di un treno fermo»
Giù ordini e produzione, ma cresce l’occupazione. Ferrari: «Emilia vitale ma non basta»
Secondo Alberto Zambianchi, presidente di Unioncamere Emilia-Romagna, la nostra regione, con una piccolissima variazione di Pil prevista al +0.6%, «è ancora locomotiva ma di un treno quasi fermo». Il presidente di Confindustria Emilia—Romagna Pietro Ferrari parla, a sua volta, di «un organo sano all’interno di un corpo debilitato», tanto che ormai, a questo «corpo», e cioè all’Italia, nemmeno la vitalità dell’Emilia potrebbe bastare più.
Sono due metafore azzeccate che descrivono lo stato dell’economia nostrana, rilevato dall’indagine congiunturale relativa al secondo trimestre 2019 sull’industria manifatturiera, realizzata in collaborazione tra Unioncamere, Confindustria e Intesa San Paolo.
Se a danneggiare l’andamento economico sembra essere la situazione internazionale, tra dazi imposti dagli Stati Uniti, crisi tedesca e hard Brexit, a mettere il carico da novanta è un certo immobilismo dell’esecutivo del Paese. «Siamo fermi da 20 anni», va giù duro Ferrari. E i numeri non mentono. Così anche qua, dove la «locomotiva» sbuffa e rallenta, insieme alle compagne di traino Lombardia — con lo stesso valore — e Veneto (che dovrebbe addirittura bloccarsi al +0,5%). Sempre meglio del Paese Italia che accusa una crescita zero — è l’ultima in Europa, ande dopo Grecia e Portogallo — e spera in una minima ripresa (il solito 0,6%) solo nel 2020.
Nella nostra regione, continuano, invece a migliorare l’export e l’occupazione. Sebbene il volume della produzione sia sceso dello 0,8%, le esportazioni sono volate a un + 5% con una valore risultato pari a 32,169 milioni di euro, e con un andamento migliore rispetto al complesso della manifattura italiana che si arresta al +2,7%. Diminuisce anche dello 0,8% il numero delle imprese (nell’ultimo anno ne sono state chiuse 3.178) comprese quelle giovanili e femminili. Resistono sono quelle straniere (+ 836 e cioè +1,7%). Bene, dunque, l’occupazione, che nel 2019 crescerà del 2% (Italia 0,1%) mentre il tasso di disoccupazione scenderà a 5,6% (Italia ben 10,4%). Nel dettaglio, secondo lo studio Excelsior (UnioncamereAnpai), entro novembre le nostre aziende hanno preventivato 103 mila assunzioni (25 mila nel manifatturiero), anche se il 36% dei profili professionali è considerato di difficile reperimento: il 22% per mancanza di candidati, nel 14% per formazione inadeguata. Si cercano, insomma, professionalità che ancora non esistono: sintomo di un mondo produttivo in rapido mutamento e monito per il sistema di adeguarsi ai tempi.
Vanno, in generale, meglio le imprese con più di 500 addetti, mentre sono sempre più in sofferenza le Pmi. «Ma nonostante la stagnazione — ragiona Zambianchi — Le nostre imprese continuano a creare ricchezza e occupazione. Resistiamo soprattutto grazie ai mercati esteri, ma è da lì che viene l’allarme». Il rischio di una guerra dei dazi con gli Usa può compromettere, oltre ai prodotti agroalimentari destinati all’export, le 235 imprese con americani come azionisti di maggioranza (con un fatturato di 6,5 miliardi). Altri gravi rischi si affacciano a causa del rapporto con una Germania in recessione (il cui pil comunque cresce dello 0,7%) e le sue 222 imprese sul territorio (231 sono le emiliane in terra tedesca). Problemi in vista anche con la Brexit e il 7% di fatturato destinato alle esportazioni nel Regno Unito.
«Bisogna stimolare i consumi interni». Questa, secondo Ferrari, l’unica soluzione percorribile. Per non cadere.
«Certo lo 0,6 % di Pil in regione non ci soddisfa» ma, insomma, è un segno di positività. Tanto più, che secondo le indagini di Confindustria le previsioni degli industriali si fanno più ottimistiche sul secondo semestre del 2019 rispetto al primo. E la fiducia è una delle componenti che porta alla scelta di investire. Ma se tutto attorno non ci sono segni di vita, «pure l’Emilia», prosegue Ferrari «sarà insufficiente». «Abbiamo un ritardo di 20 anni rispetto alla media europea — affonda — e non c’è dubbio che dobbiamo rimanere ancorati all’Unione Europea. Non possiamo più permetterci un governo di 3 o 4 mesi ma c’è bisogno di una visione almeno di 5 anni, indipendentemente dalle maggioranze. Abbiamo bisogno di un supporto dall’Unione Europea, di un sistema di finanziamento alternativo, Bot o titoli europei per un Paese come il nostro che non può più fare debito». Serve con urgenza, conclude «una grande spinta agli investimenti, con 30-40 miliardi destinati per due o tre anni. Se no l’economia si ferma».