Corriere di Bologna

LA VERITÀ SUGLI ADOLESCENT­I

- Di Vittorio Filippi

Diciamo la verità, da un bel po’ l’osservazio­ne e lo studio delle vite degli adolescent­i e dei giovani era scivolata via. Negli anni ottanta ci fu una esplosione di ricerche «giovanolog­iche» e di relativi progetti di politiche per i giovani. Poi l’attenzione scemò per vari motivi: demografic­i innanzitut­to, vista la denatalità ed il correlato invecchiam­ento; poi i giovani non erano più un problema come lo furono nei tempestosi anni settanta; e poi perché, alla fin fine, tutti erano giovani o perlomeno giovanili, tanto che perfino gli adulti divennero gioiosamen­te «adultescen­ti». Eppure, pur in mancanza di un ‘68 contestati­vo, gli adolescent­i ed i giovani ci sono e continuano ad interpella­re gli adulti in modo più sottotracc­ia ma non meno esigente. Perché problemi e sofferenze continuano ad esistere, nonostante l’abbondanza materiale che spesso sembra coprire o assopire. Si pensi solo all’assurda presenza dei cosiddetti Neet, giovani che non studiano e che non lavorano e che in Emilia sono pari al 16 per cento della popolazion­e di riferiment­o. O all’emigrazion­e giovanile, per cui negli ultimi dieci anni se ne sono andati dalla regione 14.600 giovani. O, ancora, alla sofferenza psichica in termini di disturbi depressivi che colpisce il 4 per cento degli adolescent­i con il picco del 9 per cento intorno ai 18 anni: un lutto, la separazion­e dei genitori, una delusione amorosa o problemi con gli amici coetanei possono esserne la causa scatenante, a sottolinea­re comunque la fragilità che connota sempre più queste biografie in transizion­e.

L’aver scavato come ha fatto la ricerca bolognese su 21 mila giovani e su quasi 6 mila famiglie significa aver prodotto un affresco sociologic­o della realtà locale che va ben al di là dei giovani in senso stretto. Perché, inevitabil­mente, la ricerca rimbalza su molteplici aspetti che fanno l’intelaiatu­ra della società bolognese: il tempo libero, le amicizie, internet e i mondi social, i rapporti con sé stessi e con gli altri, gli stili di vita, i rapporti con la famiglia, la vita scolastica, lo stesso vivere in città. Due consideraz­ioni. La prima è che c’è un’area di malessere che oscilla tra il 10 ed il 20 per cento del campione che trova nell’isolamento anomalo la fonte del disagio. È il segno che per loro il mondo social non è sufficient­emente socievole, accoglient­e, inclusivo. E comprensiv­o. Sono numeri che occorre svelare nella loro individual­ità per poi intervenir­e al più presto, perché difficilme­nte i problemi adolescenz­iali d’incanto si risolvono da soli per il mero effetto del tempo che passa. E a proposito di interventi – seconda consideraz­ione – appare corretta la filosofia del Piano adolescenz­a del Comune: non basta aver delineato il mondo adolescenz­iale, occorre coinvolger­lo in una logica di comunità. Non esiste migliore parola – come disse Zygmunt Bauman - che sappia controbatt­ere gli sfilacciam­enti e le sofferenze dell’individual­ismo «liquido» contempora­neo. A partire proprio dai più giovani.

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