LA VERITÀ SUGLI ADOLESCENTI
Diciamo la verità, da un bel po’ l’osservazione e lo studio delle vite degli adolescenti e dei giovani era scivolata via. Negli anni ottanta ci fu una esplosione di ricerche «giovanologiche» e di relativi progetti di politiche per i giovani. Poi l’attenzione scemò per vari motivi: demografici innanzitutto, vista la denatalità ed il correlato invecchiamento; poi i giovani non erano più un problema come lo furono nei tempestosi anni settanta; e poi perché, alla fin fine, tutti erano giovani o perlomeno giovanili, tanto che perfino gli adulti divennero gioiosamente «adultescenti». Eppure, pur in mancanza di un ‘68 contestativo, gli adolescenti ed i giovani ci sono e continuano ad interpellare gli adulti in modo più sottotraccia ma non meno esigente. Perché problemi e sofferenze continuano ad esistere, nonostante l’abbondanza materiale che spesso sembra coprire o assopire. Si pensi solo all’assurda presenza dei cosiddetti Neet, giovani che non studiano e che non lavorano e che in Emilia sono pari al 16 per cento della popolazione di riferimento. O all’emigrazione giovanile, per cui negli ultimi dieci anni se ne sono andati dalla regione 14.600 giovani. O, ancora, alla sofferenza psichica in termini di disturbi depressivi che colpisce il 4 per cento degli adolescenti con il picco del 9 per cento intorno ai 18 anni: un lutto, la separazione dei genitori, una delusione amorosa o problemi con gli amici coetanei possono esserne la causa scatenante, a sottolineare comunque la fragilità che connota sempre più queste biografie in transizione.
L’aver scavato come ha fatto la ricerca bolognese su 21 mila giovani e su quasi 6 mila famiglie significa aver prodotto un affresco sociologico della realtà locale che va ben al di là dei giovani in senso stretto. Perché, inevitabilmente, la ricerca rimbalza su molteplici aspetti che fanno l’intelaiatura della società bolognese: il tempo libero, le amicizie, internet e i mondi social, i rapporti con sé stessi e con gli altri, gli stili di vita, i rapporti con la famiglia, la vita scolastica, lo stesso vivere in città. Due considerazioni. La prima è che c’è un’area di malessere che oscilla tra il 10 ed il 20 per cento del campione che trova nell’isolamento anomalo la fonte del disagio. È il segno che per loro il mondo social non è sufficientemente socievole, accogliente, inclusivo. E comprensivo. Sono numeri che occorre svelare nella loro individualità per poi intervenire al più presto, perché difficilmente i problemi adolescenziali d’incanto si risolvono da soli per il mero effetto del tempo che passa. E a proposito di interventi – seconda considerazione – appare corretta la filosofia del Piano adolescenza del Comune: non basta aver delineato il mondo adolescenziale, occorre coinvolgerlo in una logica di comunità. Non esiste migliore parola – come disse Zygmunt Bauman - che sappia controbattere gli sfilacciamenti e le sofferenze dell’individualismo «liquido» contemporaneo. A partire proprio dai più giovani.