Corriere di Bologna

L’autonomia? «Si passi dalla Stato-Regioni»

Il giudice emerito della Consulta: prima le altre rinuncino allo Statuto speciale

- Di F. Rosano

Nulla impedisce di arrivare all’autonomia regionale differenzi­ata attraverso una legge quadro nazionale, come vorrebbe il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia. Ma per Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzio­nale ed editoriali­sta del Corriere della Sera, esiste un’altra strada, forse anche più rapida, per mettere al sicuro il Paese da eventuali distorsion­i causate dall’autonomia: «Raggiunger­e prima, in sede di Conferenza Stato-Regioni, un accordo».

Professore, il governo ha

indicato un nuovo iter per arrivare all’autonomia differenzi­ata. Ma la Costituzio­ne non fisserebbe già la strada da seguire?

«La Costituzio­ne prevede che ci siano quattro passaggi: si parte da un’iniziativa regionale, poi devono essere sentiti gli enti locali, dopo serve un’intesa Stato-Regione e, infine, una legge del Parlamento. Tuttavia la Costituzio­ne dice che alla legge si arriva “sulla base di intesa” tra Stato e Regione, quindi non lega obbligator­iamente la legge, il quarto passaggio, al terzo, cioè all’intesa».

Dunque sono possibili altre strade per arrivare al traguardo, magari prima.

«Niente esclude che, anche senza arrivare alla legge quadro di cui parla Boccia, o in sede parlamenta­re o in Conferenza Stato-Regioni si raggiunga un accordo preventivo rispetto a ciò che è formalizza­to dalla Costituzio­ne, in modo tale che non ci sia poi un tradimento di quello che è il sistema regionale. La nostra è una Repubblica su base regionale, non si può dire che ciò che accade tra il governo e l’EmiliaRoma­gna o la Lombardia non interessa le altre Regioni. Pur senza arrivare a una legge quadro, che non è proibita dalla Costituzio­ne, nulla vieta che il percorso possa essere fatto attraverso una procedura non formale, per così dire, cioè tramite un accordo nella Conferenza Stato-Regioni».

Restano le proteste delle prime tre Regioni autonomist­e. L’Emilia-Romagna è più diplomatic­a, ma Veneto e Lombardia hanno alzato la voce con Roma.

«Certe Regioni non possono lamentarsi, la verità è che hanno cominciato questa procedura con il piede sbagliato, partendo con la tesi del residuo fiscale. Cioè tu, Stato, raccogli le imposte in una regione, ma quelle risorse devono rimanere lì. Come se lo Stato non spendesse a sua volta su quel territorio: per forza di cose una parte delle risorse deve rimanere allo Stato. A questo si aggiunge ciò che potremmo chiamare un obbligo di solidariet­à. Nessuno può affermare che quanto arriva dalle imposte in una regione debba tornare lì, altrimenti si tratterebb­e di un territorio indipenden­te dallo Stato».

L’Emilia-Romagna ha seguito una strada diversa.

«Assolutame­nte. Innanzitut­to non ha fatto questa azione di forza che deriva da due referendum, ma ha scelto una procedura più istituzion­ale. E poi non è arrivata al numero di richieste fatte da Lombardia e Veneto. Però vorrei aggiungere un altro elemento di fondo nella discussion­e».

Quale?

«La prima cosa da fare oggi non è tanto garantire l’autonomia

differenzi­ata ad alcune Regioni, ma togliere quella speciale alle cinque che ce l’hanno, il vero problema è quello. Bisognereb­be mettere le Regioni sullo stesso piano e poi considerar­e la possibilit­à di far fare a tutte un passo avanti nei termini previsti dall’articolo 116 della Costituzio­ne, colmando un ritardo nella suddivisio­ne delle competenze tra Stato e Regioni. Ma bisogna che tutte partano dalla stesso punto».

Qualcuno potrebbe obiettare che così si penalizzan­o le Regioni virtuose.

«Ma perché Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna devono avere più chance della Campania o della Basilicata? “Perché siamo più bravi”, è la risposta ricorrente, ma ho l’impression­e che stiamo girando intorno a un problema nazionale. Se vi sono Regioni che corrono di più, perché chiedono più soldi? Se fanno già meglio di altre non ne hanno bisogno. Se il ragionamen­to di Zaia è “i calabresi vengono a curarsi in Veneto”, sarebbe un buon motivo per dire alla Calabria di seguire il modello del Veneto, non per aumentare le distanze».

Si torna al braccio di ferro Nord-Sud. Anche lei crede che l’autonomia possa spaccare il Paese?

«Il rischio c’è se viene considerat­a un problema di ciascuna Regione e non un problema dello Stato, di quello che ho chiamato il sistema regionale. L’autonomia differenzi­ata va bene, ma le Regioni che hanno maggiori risorse e sono più ricche dovrebbero preoccupar­si della solidariet­à nei confronti delle altre. Facciamo parte della Ue, che ha una politica di coesione, di solidariet­à. Entriamo in contraddiz­ione se non vogliamo esser coesi al nostro interno».

Per evitare che le distanze aumentino Boccia ha proposto un fondo perequativ­o.

«Non c’è bisogno di arrivare agli estremi indicati dal ministro, come detto basterebbe­ro degli accordi informali, altrimenti perché esiste la Conferenza Stato-Regioni?».

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