I miti Djordjevic e Danilovic «Il basket, un grande scherzo»
I due «Sasha» si raccontano al Festival dello Sport tra simpatici aneddoti, trionfi e assist senza palloni
«La pallacanestro è un imbroglio. Finto a destra e vado a sinistra. Guardo là e passo lì. È un grande scherzo. E noi slavi amiamo scherzare, lo facciamo con gli amici, con i parenti, con i compagni, vogliamo prendere in giro, abbiamo il gusto della beffa. Per secoli abbiamo vissuto solo in difesa, senza fare conquiste. Imbrogli e difesa, anche fra di noi. Le guerre hanno alimentato questo amore per lo scherzo, siamo gente che con i fratelli, con i compagni, ha stabilito relazioni, gruppi, squadre, vittorie. Per questo siamo così bravi a giocare a basket».
La sintesi di un’ora e mezza di gradevole discussione sulla «Jugoslavia basket club», prezioso appuntamento del Festival dello Sport organizzato dalla Gazzetta a Trento, è nel
Sognavo di giocare in Italia. Poi c’è stato Petrovic e l’abbiamo seguito
monologo lasciato ai posteri da Sasha Djordjevic.
L’allenatore della Virtus che pare tanto schivo a Bologna, si rivela in realtà un mattatore da palcoscenico: pensieri profondi, gag («Tu che ti vanti di aver vinto tanto con l’Italia usando l’italianissimo Gregor Fucka...» ha detto a Boscia Tanjevic), assist - stavolta orali e senza palloni - alle altre leggende presenti Sasha Danilovic e Miho Nakic.
«Io guardavo il basket italiano grazie a Capodistria e Sergio Tavcar - spiega il coach - e pensavo che sarebbe stato bello andarci a giocare. La generazione prima della mia doveva aspettare i 28 anni per uscire dalla Jugoslavia. Fino a 28 anni lavoro, allenamenti duri, cazziatoni dei nostri maestri, mille tiri al giorno, ma giocavi per la gloria. Poi è arrivato Drazen. Lui ha rivoluzionato tutto. È uscito dal Paese giovane, ha dominato. E noi, dopo, gli siamo andati dietro». Boscia lo interrompe: «Le nostre squadre avevano talento e non c’erano stranieri. Il mio Bosna era unito ideologicamente prima che tecnicamente». Erano i grandi Balcani degli allenamenti fino a spaccarsi - «Ma poi i nostri non si infortunavano mai, erano pronti a tutto» rivela Tanjevic - e dei santoni: Stankovic, Nikolic, Novosel. «Poi è toccato a noi, che da Petrovic abbiamo ereditato l’amore per il lavoro maniacale», irrompe Danilovic. «Incontrammo la Knorr, poi Milano, vincemmo quell’Eurolega e lasciando il Partizan io scelsi subito la Virtus. E ho avuto ragione».
Cosa avete trovato in Italia, chiede Andrea Tosi, decano del giornalismo cestistico bolognese. «Belle donne» ride Sasha. Poi si fa serio: »Io ho trovato Brunamonti. Ho voluto giocare con lui, per quello sono andato alla Virtus. Io volevo un playmaker, avevo avuto Obradovic e Djordjevic. Volevo Brunamonti. E lui è stata la cosa più importante che ho trovato a Bologna».
Boscia è sempre stato un consumato oratore, Djordjevic è stata una bella sorpresa. Danilovic, invece, non è cambiato. E quando Tanjevic ricorda con dovizia di particolari la stoppata rifilata da Abbio a Sasha a Eurobasket ‘99, lo Zar taglia corto: «Lui ha persino recuperato la palla? ridacchia - Questa è bella. Non ti rispondo solo perché ho grande rispetto per te Boscia...». Fragorose risate in platea, questi sono forti al microfono almeno quanto l’erano in campo. Sale saluta e scappa a Bologna: non commenta la Virtus, preferisce allenarla.