Corriere di Bologna

I miti Djordjevic e Danilovic «Il basket, un grande scherzo»

I due «Sasha» si raccontano al Festival dello Sport tra simpatici aneddoti, trionfi e assist senza palloni

- DAL NOSTRO INVIATO Daniele Labanti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«La pallacanes­tro è un imbroglio. Finto a destra e vado a sinistra. Guardo là e passo lì. È un grande scherzo. E noi slavi amiamo scherzare, lo facciamo con gli amici, con i parenti, con i compagni, vogliamo prendere in giro, abbiamo il gusto della beffa. Per secoli abbiamo vissuto solo in difesa, senza fare conquiste. Imbrogli e difesa, anche fra di noi. Le guerre hanno alimentato questo amore per lo scherzo, siamo gente che con i fratelli, con i compagni, ha stabilito relazioni, gruppi, squadre, vittorie. Per questo siamo così bravi a giocare a basket».

La sintesi di un’ora e mezza di gradevole discussion­e sulla «Jugoslavia basket club», prezioso appuntamen­to del Festival dello Sport organizzat­o dalla Gazzetta a Trento, è nel

Sognavo di giocare in Italia. Poi c’è stato Petrovic e l’abbiamo seguito

monologo lasciato ai posteri da Sasha Djordjevic.

L’allenatore della Virtus che pare tanto schivo a Bologna, si rivela in realtà un mattatore da palcosceni­co: pensieri profondi, gag («Tu che ti vanti di aver vinto tanto con l’Italia usando l’italianiss­imo Gregor Fucka...» ha detto a Boscia Tanjevic), assist - stavolta orali e senza palloni - alle altre leggende presenti Sasha Danilovic e Miho Nakic.

«Io guardavo il basket italiano grazie a Capodistri­a e Sergio Tavcar - spiega il coach - e pensavo che sarebbe stato bello andarci a giocare. La generazion­e prima della mia doveva aspettare i 28 anni per uscire dalla Jugoslavia. Fino a 28 anni lavoro, allenament­i duri, cazziatoni dei nostri maestri, mille tiri al giorno, ma giocavi per la gloria. Poi è arrivato Drazen. Lui ha rivoluzion­ato tutto. È uscito dal Paese giovane, ha dominato. E noi, dopo, gli siamo andati dietro». Boscia lo interrompe: «Le nostre squadre avevano talento e non c’erano stranieri. Il mio Bosna era unito ideologica­mente prima che tecnicamen­te». Erano i grandi Balcani degli allenament­i fino a spaccarsi - «Ma poi i nostri non si infortunav­ano mai, erano pronti a tutto» rivela Tanjevic - e dei santoni: Stankovic, Nikolic, Novosel. «Poi è toccato a noi, che da Petrovic abbiamo ereditato l’amore per il lavoro maniacale», irrompe Danilovic. «Incontramm­o la Knorr, poi Milano, vincemmo quell’Eurolega e lasciando il Partizan io scelsi subito la Virtus. E ho avuto ragione».

Cosa avete trovato in Italia, chiede Andrea Tosi, decano del giornalism­o cestistico bolognese. «Belle donne» ride Sasha. Poi si fa serio: »Io ho trovato Brunamonti. Ho voluto giocare con lui, per quello sono andato alla Virtus. Io volevo un playmaker, avevo avuto Obradovic e Djordjevic. Volevo Brunamonti. E lui è stata la cosa più importante che ho trovato a Bologna».

Boscia è sempre stato un consumato oratore, Djordjevic è stata una bella sorpresa. Danilovic, invece, non è cambiato. E quando Tanjevic ricorda con dovizia di particolar­i la stoppata rifilata da Abbio a Sasha a Eurobasket ‘99, lo Zar taglia corto: «Lui ha persino recuperato la palla? ridacchia - Questa è bella. Non ti rispondo solo perché ho grande rispetto per te Boscia...». Fragorose risate in platea, questi sono forti al microfono almeno quanto l’erano in campo. Sale saluta e scappa a Bologna: non commenta la Virtus, preferisce allenarla.

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