RICOSTRUIRE IL CAPITALE SOCIALE
Gli americani apprezzavano e invidiavano dell’Italia, in particolare dalla fine della Seconda guerra mondiale, la cultura gastronomica, l’arte e la partecipazione politica. L’Emilia-Romagna ha per lungo tempo rappresentato l’ideale apogeo di questa triade, con eccellenze culinarie, centri storici e arte tutelati e valorizzati, e densa e intensa cultura politica. Il declino dell’impegno politico è stato diffuso, generalizzato sul territorio e, sebbene più contenuto che in altri contesti, ha raggiunto il livello di guardia anche nella civica terra tra il Po e l’ Appenino. Non basta l’abbrivio garantito da un consistente capitale politico stipato nei decenni, né la resilienza di piccoli gruppi e oligarchie politiche ed economiche legate a reti personali (per pietà non chiamiamole caste). Nonostante la dinamica legata al «ritorno verso il personale» segua tendenze internazionali e non di breve periodo, il crollo del livello di partecipazione politica segnala, a chi riuscisse a vederlo, un dirupo sociale dietro l’angolo. Gli indicatori che indicano «cattivo tempo» sono vari e concordanti. Oltre all’eclatante 37.7% di votanti alle regionali 2014, va ricordato il crollo di partecipazione nei partiti, la dura vita delle associazioni, l’estrema difficoltà di penetrazione sociale dei sindacati soprattutto tra mondi lavorativi nuovi e tra i giovani. La grama vita della politica e dei politici si percepisce infine dall’incapacità di anticipare, intercettare e governare le nuove sfide, quella ambientale in primis.
La politica come argomento di disturbo della quiete piccolo borghese, che spesso sfocia nel nichilismo. Meglio non parlare di politica, meglio concentrarsi sul «sé» lontano da altri e da altro, in una condizione di scala valoriale «fai da te «ove convivono spinte individualiste, solidarismo à la carte e generosità selettiva. Non so se si tratti di società «liquida», ma certamente i legami orizzontali si sono allentati e non sarà certo un’ideologica e fuori tempo difesa della famiglia «tradizionale» (troppo lacerata e persino idealizzata) a strappare intere coorti di cittadini dalle grinfie dell’anomia sociale.
Anche in Emilia non c’è scarsità soltanto del cosiddetto «capitale sociale» (si veda «Mappe del tesoro» di R. Cartocci – Il Mulino), che nessuno può ricostruire in laboratorio e in poco tempo, né con donazioni che nessuno sgravio fiscale o incentivo economico può ricostruire, ma anche di slancio ideale, di progettualità, di coraggio e ambizione di voler «cambiare» per innovare; un tempo si chiamava Riformismo. Manca cioè la Politica. A questo schema non si risponde però con la difesa delle torri di guardia del mitico e mitologico tempo che fu. Come uscirne? Avere meno «carte fedeltà», meno passeggiate nei centri commerciali e più impegno esterno aiuta certamente. Ma c’è il rischio del volontarismo e del solidarismo individuale vagamente peloso. Per rompere il muro della crescente indifferenza sociale deve tornare in campo il Principe gramsciano, c’è bisogno dell’organizzazione collettiva. I partiti politici sono fondamentali per la democrazia, ma sono delegittimati, con scarsa o punto reputazione e non hanno né idee né voglia per riprendere lo spazio della partecipazione permanente. Puntano, invece, a mobilitare solo a ridosso delle elezioni. Gli intellettuali poi, prima forse pensosi, pseudo-organici, ma certamente impegnati e utili a interpretare i cambiamenti sociali, sono stati scacciati come appestati, e/o si sono ritirati a vita (de)privata. Uno spiraglio ci sarebbe. Da una ricerca condotta con Dario Tuorto e sostenuta dalla Fondazione dal Monte, è emerso che la partecipazione politica in Emilia, sebbene diminuita, è ancora vitale ed ha elevate potenzialità di sviluppo futuro. Il rischio intrinseco è che senza una cornice politica, questo capitale umano, sociale e politico, sia esposto all’inefficacia, alle sirene populiste, alle finalità circoscritte e puntuali, non generaliste. Quasi un paradosso. Perché dunque nella civile Emilia si partecipa sempre meno a fronte di un potenziale elevato? Una risposta viene dalla sociologia politica: Sidney Verba direbbe perché «nessuno glielo ha mai chiesto». Ossia, negli anni la distanza degli attori politici dagli interessi sociali è cresciuta, per incapacità di interpretare, ma anche per deliberato non coinvolgimento e chiusura. Non si tratta solo della cosiddetta «disintermediazione», ma dell’assenza di una ricetta complessiva, di una lettura ideologica.
Di un disinteresse deliberato a cercare di coinvolgere gli elettori, chiedendoglielo. Oggi solo la Chiesa (si veda il consenso sociale e l’acutezza del neo Cardinale Zuppi) offre una visione ampia, o le chiese politiche identitarie populiste. I partiti anche qui tornino a fornire una visione, un’ideologia (ad esempio la solidarietà e l’uguaglianza) e non si occupino solo di elezioni. Speriamo di rivedere presto decine di capannelli di anziani (con diritto di voto) e giovani discutere di politica e non solo di calcio in tutte le «Piazza Maggiore» dell’Emilia.