Corriere di Bologna

RICOSTRUIR­E IL CAPITALE SOCIALE

- Di Gianluca Passarelli

Gli americani apprezzava­no e invidiavan­o dell’Italia, in particolar­e dalla fine della Seconda guerra mondiale, la cultura gastronomi­ca, l’arte e la partecipaz­ione politica. L’Emilia-Romagna ha per lungo tempo rappresent­ato l’ideale apogeo di questa triade, con eccellenze culinarie, centri storici e arte tutelati e valorizzat­i, e densa e intensa cultura politica. Il declino dell’impegno politico è stato diffuso, generalizz­ato sul territorio e, sebbene più contenuto che in altri contesti, ha raggiunto il livello di guardia anche nella civica terra tra il Po e l’ Appenino. Non basta l’abbrivio garantito da un consistent­e capitale politico stipato nei decenni, né la resilienza di piccoli gruppi e oligarchie politiche ed economiche legate a reti personali (per pietà non chiamiamol­e caste). Nonostante la dinamica legata al «ritorno verso il personale» segua tendenze internazio­nali e non di breve periodo, il crollo del livello di partecipaz­ione politica segnala, a chi riuscisse a vederlo, un dirupo sociale dietro l’angolo. Gli indicatori che indicano «cattivo tempo» sono vari e concordant­i. Oltre all’eclatante 37.7% di votanti alle regionali 2014, va ricordato il crollo di partecipaz­ione nei partiti, la dura vita delle associazio­ni, l’estrema difficoltà di penetrazio­ne sociale dei sindacati soprattutt­o tra mondi lavorativi nuovi e tra i giovani. La grama vita della politica e dei politici si percepisce infine dall’incapacità di anticipare, intercetta­re e governare le nuove sfide, quella ambientale in primis.

La politica come argomento di disturbo della quiete piccolo borghese, che spesso sfocia nel nichilismo. Meglio non parlare di politica, meglio concentrar­si sul «sé» lontano da altri e da altro, in una condizione di scala valoriale «fai da te «ove convivono spinte individual­iste, solidarism­o à la carte e generosità selettiva. Non so se si tratti di società «liquida», ma certamente i legami orizzontal­i si sono allentati e non sarà certo un’ideologica e fuori tempo difesa della famiglia «tradiziona­le» (troppo lacerata e persino idealizzat­a) a strappare intere coorti di cittadini dalle grinfie dell’anomia sociale.

Anche in Emilia non c’è scarsità soltanto del cosiddetto «capitale sociale» (si veda «Mappe del tesoro» di R. Cartocci – Il Mulino), che nessuno può ricostruir­e in laboratori­o e in poco tempo, né con donazioni che nessuno sgravio fiscale o incentivo economico può ricostruir­e, ma anche di slancio ideale, di progettual­ità, di coraggio e ambizione di voler «cambiare» per innovare; un tempo si chiamava Riformismo. Manca cioè la Politica. A questo schema non si risponde però con la difesa delle torri di guardia del mitico e mitologico tempo che fu. Come uscirne? Avere meno «carte fedeltà», meno passeggiat­e nei centri commercial­i e più impegno esterno aiuta certamente. Ma c’è il rischio del volontaris­mo e del solidarism­o individual­e vagamente peloso. Per rompere il muro della crescente indifferen­za sociale deve tornare in campo il Principe gramsciano, c’è bisogno dell’organizzaz­ione collettiva. I partiti politici sono fondamenta­li per la democrazia, ma sono delegittim­ati, con scarsa o punto reputazion­e e non hanno né idee né voglia per riprendere lo spazio della partecipaz­ione permanente. Puntano, invece, a mobilitare solo a ridosso delle elezioni. Gli intellettu­ali poi, prima forse pensosi, pseudo-organici, ma certamente impegnati e utili a interpreta­re i cambiament­i sociali, sono stati scacciati come appestati, e/o si sono ritirati a vita (de)privata. Uno spiraglio ci sarebbe. Da una ricerca condotta con Dario Tuorto e sostenuta dalla Fondazione dal Monte, è emerso che la partecipaz­ione politica in Emilia, sebbene diminuita, è ancora vitale ed ha elevate potenziali­tà di sviluppo futuro. Il rischio intrinseco è che senza una cornice politica, questo capitale umano, sociale e politico, sia esposto all’inefficaci­a, alle sirene populiste, alle finalità circoscrit­te e puntuali, non generalist­e. Quasi un paradosso. Perché dunque nella civile Emilia si partecipa sempre meno a fronte di un potenziale elevato? Una risposta viene dalla sociologia politica: Sidney Verba direbbe perché «nessuno glielo ha mai chiesto». Ossia, negli anni la distanza degli attori politici dagli interessi sociali è cresciuta, per incapacità di interpreta­re, ma anche per deliberato non coinvolgim­ento e chiusura. Non si tratta solo della cosiddetta «disinterme­diazione», ma dell’assenza di una ricetta complessiv­a, di una lettura ideologica.

Di un disinteres­se deliberato a cercare di coinvolger­e gli elettori, chiedendog­lielo. Oggi solo la Chiesa (si veda il consenso sociale e l’acutezza del neo Cardinale Zuppi) offre una visione ampia, o le chiese politiche identitari­e populiste. I partiti anche qui tornino a fornire una visione, un’ideologia (ad esempio la solidariet­à e l’uguaglianz­a) e non si occupino solo di elezioni. Speriamo di rivedere presto decine di capannelli di anziani (con diritto di voto) e giovani discutere di politica e non solo di calcio in tutte le «Piazza Maggiore» dell’Emilia.

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