La strage alla stazione, i periti: «I resti riesumati sono di vittime già note»
Per gli esperti quelli della donna sarebbero stati ripartiti in altre bare. L’interruttore non c’entra
I resti riesumati in Toscana non sono di Maria Fresu ma forse di altre vittime conosciute della strage. Lo dicono le perizie depositate ieri secondo cui dopo l’esplosione e in quell’immane disastro è possibile che i resti delle vittime siano stati mescolati e che dunque quelli della Fresu siano stati ripartiti in altre bare. Gli esperti confermano che fu usato un ordigno di origine militare, ma che il resto di un interruttore inizialmente associato alla bomba non c’entra con l’attentato.
I reperti riesumati, in particolare una mano e una parte di volto con scalpo, non appartengono a Maria Fresu, i cui resti «potrebbero essere stati ripartiti in altre bare», ma a due donne, forse altre vittime già note della strage. Questo perché dopo l’esplosione «la foga (giustificata) di cercare qualcuno vivo, ha prodotto azioni che hanno sicuramente determinato la dispersione ed il mescolamento di parti organiche» ed è quindi «estremamente probabile che parti di corpi dilaniati siano stati proiettati in prossimità di altri corpi e ciò ha sicuramente indotto chi raccoglieva i resti ad accomunarli», come dimostra anche «il fatto di aver trovato frammenti ossei umani nelle macerie di Prati di Caprara». È la conclusione degli esperti Danilo Coppe e Adolfo Gregori nell’integrazione alla perizia chimico-esplosivistica depositata ieri e ordinata dalla Corte d’Assise che sta processando per concorso nella strage l’ex Nar Gilberto Cavallini.
I periti non arrivano dunque a ipotizzare l’esistenza di un’86esima vittima ma propendono per una commistione di resti di vittime diverse dovuta «all’immane disastro dell’epoca e alla impossibilità a procedere al recupero di tutto il materiale biologico, con le ovvie conseguenze negative sul riconoscimento delle vittime». Un dato comunque è «certo». E cioè che Fresu doveva per forza trovarsi in prossimità dell’esplosivo. Un dato che contrasta con le testimonianze dell’amica sopravvissuta, Silvana Lancillotto, «sicuramente in buona fede», aggiungono i periti, secondo cui erano insieme in un altro punto della sala d’aspetto. Secondo la perizia sarebbero bastati pochi secondi (3-5) di distrazione dell’amica affinché Fresu si portasse dentro i 5-7 metri dall’ordigno. Il volto con scalpo rinvenuto doveva essere dunque di una donna che si trovava a quella distanza. Su questo punto i legali di Cavallini, avvocati Alessandro Pellegrini e Gabriele Bordioni, daranno battaglia: «La perizia può solo supporre che quel lembo facciale non appartenga a una vittima sconosciuta ma non può nemmeno escluderlo. Quanto a Fresu, l’amica ha detto più volte che erano insieme al momento dell’esplosione».
Dunque a chi appartengono i resti trovati nella bara di Fresu? Per il volto i periti citano sette vittime che hanno avuto danni al cranio, per la mano ne ipotizzano due. Quanto alla povera Maria «non ci sono soluzioni praticabili per ritrovare i suoi resti». Per la genetista Elena Pilli i due lembi facciali contenuti nella bara di Fresi appartengono a una donna, mentre i campioni della mano presentano un profilo diverso e sono riconducibili a un’altra vittima di sesso femminile. Per quanto riguarda invece i frammenti ossei dei Prati di Caprara, uno dei tre campioni ha permesso di ottenere un profilo genetico, seppur parziale, riconducibile ad un unico soggetto di sesso maschile.
In merito alla composizione dell’ordigno, sicuramente di origine bellica, non ci sono sorprese dopo la marcia indietro del perito Coppe. Nella perizia c’è la conferma che il reperto analizzato non era l’interruttore della bomba: «Parrebbe non avere un ruolo nell’evento». Mentre non sono emerse analogie, come sostenuto in un primo momento, con altri ordigni usati in attentati di diversa matrice. «Del paragone con l’esplosivo utilizzato dalla Frohlich mi prendo la responsabilità, ma se dovessi riscrivere la relazione non lo rifarei», aveva detto Coppe in aula. «Resta comunque convinzione di chi scrive che fosse doveroso investigare approfonditamente sull’oggetto», dicono ora i periti.
I risultati delle perizie soddisfano i difensori dei familiari delle vittime: «Stiamo scrivendo una memoria difensiva finale per la Corte in cui daremo conto di tutti i numerosi elementi di prova emersi contro il terrorista neofascista Gilberto Cavallini, compresi quelli delle perizie», dicono i legali di parte civile. «Non ometteremo nemmeno tutti i collegamenti emersi che riconducono Cavallini e i Nar sul terreno dei servizi deviati di marchio piduista che depistarono». Un concetto sottolineato dal presidente dell’associazione Paolo Bolognesi secondo cui le perizie «escludono che ci sia una 86esima vittima».
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