I segreti (in 3D) dell’Infinito di Leopardi
La nuova analisi ad alta definizione dei manoscritti originali di Leopardi «Carte, penne, inchiostri»: venerdì all’Alma Mater gli esiti dello studio
L’anniversario di un anno centrale nella vita di Giacomo Leopardi, quel 1819 in cui compose L’Infinito, continua a riservare sorprese sul piccolo idillio, come lo definì la critica, pubblicato solo nel 1826 e non già nella prima edizione dei «Canti». Duecento anni dopo i manoscritti originali della lirica simbolo della nostra letteratura sono stati sottoposti a una nuova analisi ad altissima definizione. Da cui sono emerse diverse sequenze di correzioni e tre successive fasi di scrittura, a dimostrazione che il poeta di Recanati non l’aveva scritta propriamente di getto, ma era tornato più volte a rivedere quelle poche e indimenticabili rime che esaltano l’immaginazione.
Per Paola Italia, docente del Dipartimento di Filologia classica e Italianistica dell’Alma Mater, alla guida della nuova indagine, «nonostante sia forse l’autografo più conosciuto della letteratura italiana, L’infinito è un oggetto che resta ancora misterioso. Non sappiamo con precisione, per esempio, se sia stato composto prima o dopo il 29 giugno 1819, ventunesimo compleanno di Leopardi, che diventato maggiorenne tenta la fuga da Recanati. Tutto quello che sappiamo è legato a un quadernetto a righe che reca, oltre a L’infinito, anche altri “Idilli”».
Per provare a ricostruire le vicende che hanno portato alla nascita di una delle liriche più celebri della nostra letteratura, la docente ha deciso di accostare un nuovo metodo di analisi ad altissima definizione - l’RTI che sta per «Reflectance Transfromation Imaging» - alle metodologie della filologia d’autore. Un’operazione resa possibile grazie alla collaborazione della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli, che custodisce vari manoscritti autografi di Giacomo Leopardi, e del Laboratorio Fotografico e Multimediale FrameLab, che opera nel
Campus di Ravenna dell’Università di Bologna. Le pagine del quaderno napoletano degli «Idilli» sono state così analizzate con la tecnologia RTI, che è open access, messa a disposizione dall’organizzazione no profit Cultural Heritage
Imaging. Grazie ad essa è possibile realizzare ricostruzioni digitali molto dettagliate.
Aggiunge ancora Paola Italia: «Questo metodo è stato utilizzato inizialmente soprattutto per lo studio di manufatti artistici e archeologici. Fotografie ad alta definizione vengono scattate con luce riflessa su una sfera da diverse angolature e altezze, e poi ricomposte digitalmente. Creando così un’immagine tridimensionale che permette di migliorare la percezione della superficie dell’oggetto e di evidenziare le stratificazioni dei solchi lasciati dalla penna nella scrittura». Abbinando dunque moderna tecnologia e sapiente filologia, si è riusciti a ricostruire nel dettaglio i segni e le correzioni, che corrispondono a penne e stesure diverse.
«L’analisi spettrometrica e le rilevazioni ad alta definizione in 3D - precisa la professoressa Italia - ci hanno confermato che ogni volta che Leopardi torna sul quaderno per scrivere un altro testo, corregge quelli precedenti, che recano quindi diverse serie di correzioni. L’infinito, che occupa il secondo posto tra i testi del quaderno, reca tre fasi diverse». I risultati dell’indagine saranno presentati proprio a Bologna venerdì in occasione del seminario internazionale «Carte, penne, inchiostri. Imaging, 3D e restauro digitale», in programma nella Sala Rossa di Palazzo Marchesini, in via Marsala 26.
«L’autografo de L’infinito conclude Paola Italia - ha ancora molto da dirci. Vogliamo ora portare avanti il nostro progetto cercando di datare ulteriormente i testi. Utilizzando una combinazione di strumenti, l’analisi letteraria della lingua e dello stile, quella filologica e le informazioni provenienti dall’analisi tridimensionale delle grafie».