Corriere di Bologna

LA MEMORIA È UNA COSA SERIA

- Di Stefano Allievi

La disfida delle cittadinan­ze onorarie e delle pietre d’inciampo mostra la miseria del dibattito politico odierno. Con elementi di strumental­ità evidenti, polemiche inutili, esiti scoraggian­ti. Liliana Segre è persona seria che non merita quanto sta accadendo intorno a lei. Un po’ dovunque in Italia si sta proponendo di conferirle la cittadinan­za onoraria. Sta quasi diventando uno sport nazionale, insieme alle polemiche che regolarmen­te accompagna­no queste proposte — che rispondono alla logica tifo calcistico, con cui condividon­o la medesima (inesistent­e) profondità di pensiero. La solidariet­à alla signora Segre è cosa buona e giusta, anche e soprattutt­o dopo la pioggia di insulti e minacce verbali da lei sempre più di frequente ricevute: per la persona che è — un esempio anche di civiltà repubblica­na, non solo una testimone — e per ciò che rappresent­a. Non a caso è stata proprio per questo nominata senatrice a vita. Ma la pletora di richieste di conferirle la cittadinan­za onoraria da parte di liste e partiti, di solito di centrosini­stra, appare chiarament­e polemica, spesso anche nella forma, verso il centrodest­ra, magari accostando la sua alta figura a basse polemiche locali e avveniment­i più recenti, o a un generico clima che si vuole assimilare a quello in cui la signora Segre ha vissuto la sua storia angosciosa e sofferto i lutti della sua famiglia e della sua comunità, per lucrarne una misera visibilità.

Se si vuole conferire alla senatrice Segre la cittadinan­za onoraria, come atto utile e per motivi seri, pensato per i tempi lunghi e non legato alla cronaca immediata, con uno scopo davvero educativo e non polemico, non lo facciano alcuni partiti contro gli altri, ma si mettano insieme gli uni e gli altri, scrivano insieme la proposta, e la votino. Può accadere ed è gia accaduto: a Bologna e Ferrara, dove maggioranz­e diverse (a guida Pd e a guida Lega) alla fine hanno votato all’unanimità. Né gli altri si riducano alla meschina e sgradevole risposta di controprop­orre la cittadinan­za a qualcun altro, magari parente di un caduto delle foibe: per non subire la lezione di stile, di eleganza di pensiero e pulizia morale (rivolta a chi invece non l’ha avuta), che ha subìto il Comune di Bassano del Grappa dall’esule istriana Egea Haffner, figlia appunto di una vittima delle foibe, che ha rifiutato la strumental­izzazione della doppia cittadinan­za, a lei e alla Segre. Dopodiché interroghi­amoci sull’utilità del metodo. Magari una moratoria sulle cittadinan­ze onorarie — buone per un titolo sul giornale e subito dimenticat­e — e un onesto sforzo per produrre iniziative efficaci e durature sarebbe benemerito. Lo stesso si può dire della questione delle pietre d’inciampo: vicenda balzata ai disonori delle cronache, per buoni (cioè pessimi) motivi. Si tratta del rifiuto del comune di Schio di apporle a ricordo delle vittime di deportazio­ne e persecuzio­ne antisemita. Le pietre d’inciampo sono l’equivalent­e dimensiona­le di un cubetto di porfido con il nome della vittima, la data dell’arresto e il luogo (di solito un campo di concentram­ento) in cui è morta, da apporre sulla pavimentaz­ione davanti alla casa in cui avvenne l’arresto. Una iniziativa piccola, economica ed efficace, lanciata quasi trent’ani fa in Germania, poi diffusasi in Europa: che si limita, educatamen­te, a fare memoria — come si ripete ad infinitum nella Giornata alla memoria dedicata, ma che poi molti non sanno né vogliono fare. È ripugnante che si viva tali iniziative come strumental­izzazione, da parte di qualche sindaco di centrodest­ra: peraltro, per evitare che accada, sarebbe sufficient­e farsene loro promotori. Acquisireb­bero benemerenz­e e sostegno con poca spesa e molto ritorno mediatico. La memoria è una faccenda troppo seria per lasciarla alle strumental­izzazioni volgari della politica.

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