Che «Skianto» Timi Monologo scritto, diretto e interpretato dall’attore perugino. Questa sera sul palco del teatro Duse
Il testo spiazzante. Il linguaggio frastagliato. La rabbia e il dolore, mescolati a lampi esilaranti. La fantasia. Le piroette da funambolo, i pigiamini colorati, la tshirt di Topolino, le piume, i capelli a caschetto. E l’ironia. Che tutto plasma. Filippo Timi torna a dare voce e corpo a Skianto, una favola amara – ma poi, parlando, scavando, ridendo, argomentando, si scopre che è molto di più – che questa sera fa tappa al teatro Duse di via Cartoleria nella produzione del teatro Franco Parenti (ore 21). Il tema? La condizione di disabilità. O «handicappitudine». Scritto e costruito dallo stesso artista perugino, con Salvatore Langella (canzoni incluse), Skianto è pescato dal suo repertorio passato, essendo stato allestito nel 2014. Pochi giorni fa, il 20 novembre, il lavoro è tornato a girare per l’Italia e di recente ha ispirato un nuovo show in due puntate, questa volta in tv, su Rai 3, che vedremo il 13 e 20 febbraio. Prodotto da Ballandi, avrà lo stesso titolo, ma sebbene sia, appunto, in pieno stile Skianto, dallo spettacolo teatrale ne prenderà le distanze. E intanto, Timi lavorerà anche a un progetto discografico su Fred Buscaglione con Massimo Martellotta dei Calibro 35, prodotto dalla Sugar di Caterina Caselli.
Timi, in che senso lo spettacolo è una bocca murata?
«Questo lavoro è nato davvero da qualcosa di molto chiuso, ma veramente, visto che qui di chiuso c’è addirittura una scatola cranica. Da questo punto di partenza mi sono immaginato una persona con le sue sconfinatezze, con la sua capacità di guardare oltre, di volare oltre, come poi possiamo fare tutti noi. Perché in fondo questo spettacolo parla di tutti noi».
Cos’è cambiato rispetto alla prima messinscena?
«Drammaturgicamente sono state cambiate alcune co
se. Soprattutto le canzoni. Ora con Langella sul palco canto anche in napoletano traducendo canzoni cult degli anni Settanta e Ottanta».
Quanto cult?
«Parecchio. Tipo Life on
Mars di David Bowie, Trought
The Barricades degli Spandau Ballet, I Wanna Dance With Somedody di Whitney Houston. Traducendole in napoletano abbiamo creato una drammaturgia raccontata».
Ha parlato di «handicappitudine», di disabili alla vita…
«O di diversamente abili alla vita. E con questo, di tutta una vita passata a lavorare sull’accettazione della diversità come valore. A partire da me che, per dire, sono balbuziente, e facendo l’attore s’immagini le difficoltà. Ma non so giudicare se una condizione di vita sia migliore di un’altra. Scelgo la via della poesia, senza commiserazione».
Quanta autobiografia c’è in questo lavoro?
«Skianto è autobiografico fino a un certo punto. Il “la” me lo ha dato mia cugina che abita proprio sopra casa dei miei ed è nata veramente con la scatola cranica chiusa. È da lei che è partito tutto. Da lì, certo, racconto la vita. L’Umbria, Perugia, la favola di Pinocchio».
Quali i nessi con lo show che vedremo in tv?
«Mi preme precisare una cosa: lo spettacolo non è stato ripreso per lanciare lo show in tv. Foneticamente il titolo ci stava bene, ma quello su Rai 3 è un omaggio al varietà. In particolare a Sanremo e a
Fantastico. E anche lì qualche nota autobiografica c’è, come quando sognavo vedendo le maniche alla pipistrello della Carrà».