Ira della Lega sui vescovi «Pensate alle anime»
«Ogni tanto qualche vescovo mi attacca perché ho il torto di credere in Maria e di avere fede, ma alla fine i cattolici votano con il cuore e seguendo la propria coscienza». Il leader della Lega, Matteo Salvini, ieri è tornato sulla polemica con la Chiesa bolognese ed emiliana che ha preso una posizione pubblica contro di lui.
Ma se lui ci scherza anche un po’ su i dirigenti della Lega e del centrodestra sono irritati per l’intervento dei vescovi e li invitano a pensare «alle anime» e non alle prossime elezioni regionali.
«Gesù è stato il primo socialista», si diceva fra i nonni dei nostri nonni. Adesso a destra gira una battuta: «Zuppi è l’ultimo comunista». Qualcuno nella sinistra la tramuta in speranza. Ingenuità e rancori, plateali le prime, carsici i secondi, entrambi diffusi, non rendono conto della complessità dell’operato del cardinale, presidente della Conferenza episcopale emiliano-romagnola. Vale per l’arcivescovo di Bologna, vale per gli altri prelati della regione che hanno elaborato i documenti sulle elezioni del 26 gennaio. Facilissimo leggerli come un appoggio alla sinistra che qui governa, contro i «sovranismi» della Lega. Zuppi è don Camillo e Peppone, unisce le ragioni dell’altare e della terra, ma come un intellettuale che ha letto Guareschi e sa che tutto è cambiato. Nella società, nella Chiesa, nella politica. È diversissimo dai suoi predecessori, Caffarra e Biffi, ma lo è anche da Lercaro, a cui a sinistra si tende a paragonarlo. Se c’è un Lercaro a cui può assomigliare è quello del 1956: quello che lanciò la lista Dc capeggiata da Giuseppe Dossetti per contrastare il sindaco Dozza. Costrinse l’uomo più di sinistra del mondo cattolico a una sconfitta certa, ma capace di dare una serie di indicazioni storiche che sarebbero servite ai vincitori, quindi a Bologna: dall’urbanistica ai quartieri al traffico. Un cardinale veggente; segnò poi il Concilio Vaticano II, ma fu sconfitto per il papato da Giovanni Montini. È nel ’64 che lui e Dozza ripresero a salutarsi: il sindaco aveva smesso di farlo nel ’56, quando Lercaro fece suonare le campane per gli ungheresi in rivolta contro l’Urss. Gli anni 60 per Lercaro sono importanti, ma avviano