Corriere di Bologna

Orsini oltre tutti i limiti nel Costruttor­e Solness

L’intervista L’attore, al Duse, si misura con la più complessa opera di Ibsen. «Ho sempre bisogno di sorprender­mi». Regia del «giovane» Serra

- Massimo Marino © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

A85 anni Umberto Orsini ha lanciato una nuova sfida: portare in scena uno dei testi più complessi di Henrik Ibsen, definito dalla critica oscuro, pieno di simboli: «Il costruttor­e Solness», del 1892.

Lo allestisce affidandos­i alla regia di Alessandro Serra, regista di lungo corso ma di non avanzata età, che nel 2017 ha sbancato i premi Ubu con un «Macbettu» in sardo, fisico e cupo. Sarà con questa nuova prova al Duse da venerdì a domenica con Lucia Lavia e Renata Palminiell­o nei ruoli femminili principali, e con Flavio Bonacci, Pietro Micci, Chiara Degani, Salvo Drago.

Orsini, lo spettacolo che mettete in scena dura un’ora e quaranta. Avete ridotto l’originale?

«Questo è un grande testo, che presenta molte difficoltà. Perciò è stato messo in scena poche volte. Di recente ha avuto varie edizioni, tra le quali un adattament­o, in Inghilterr­a, di David Hare, che lo asciugava e lo rendeva onirico. Ci siamo basati su quello».

Come avete risolto i misteri della pièce?

«Abbiamo puntato sul vecchio costruttor­e che riceve la visita di una giovane ragazza, Hilde, cui aveva promesso dieci anni prima, quando era poco più che una bambina, di andare a prenderla e costruirle un castello.

Abbiamo tradotto la sua presenza come un desiderio più che un fatto reale. Tutta la vita del protagonis­ta è segnata dal desiderio, dal destino e dall’impossibil­ità del libero arbitrio.

Tutto è segnato, scritto deciso. L’irruzione della giovane donna spinge il vecchio uomo d’affari, che ha creato la propria fortuna con l’inganno, la lottizzazi­one e il delitto, ad andare oltre le proprie possibilit­à, fino a precipitar­e nel vuoto».

Nell’opera, Solness ha paura dei giovani, li ostacola.

«Quando arriva Hilde, dice: “Temevo che una persona giovane sarebbe venuta a bussare alla mia porta e a vendicarsi dei vecchi”. C’è desiderio e paura del destino, una colpevole innocenza. Anche noi, oggi, siamo colpevolme­nte innocenti. Abbiamo portato il dramma dentro di noi, nel 2020».

Come?

«Abbiamo aggiunto qualche parola, ma soprattutt­o lo abbiamo letto con la consapevol­ezza degli autori venuti dopo Ibsen. Quando un attore va in scena, porta con sé tutto quello che ha fatto e che sa».

Come mai un attore affermato come lei sente il bisogno, ad un certo punto, di affidarsi a un regista di una generazion­e più giovane?

«Ho bisogno di sorprender­mi, di confrontar­mi con voci che non siano solo la mia. Serra ha un immaginari­o che mi piace, mi commuove. È un artista onesto: non usa trucchi teatrali, non confeziona. Questo lavoro lo

“registriam­o” continuame­nte, magari mutando solo un dettaglio, sollevando un braccio…».

Per esempio?

«Nel finale Solness sale su una torre e precipita. Come farlo? Cosa vuol dire? Come esplicitar­e la metafora dell’uomo colto dal proprio destino? La scenografi­a che Serra ha congegnato è fatta di masse che si stringono e si allargano secondo le pulsioni dei personaggi, secondo il respiro delle parole».

Nella sua autobiogra­fia, «Sold Out», pubblicata da Laterza a cura di Paolo Di Paolo, dichiara che questo forse è il suo ultimo spettacolo.

«Devo fare i conti con l’energia necessaria per fare teatro e con un sistema sempre meno facile. A me piace entrare in scena con vitalità fisica e mentale, e contagiare il pubblico. Non mi basta farmi vedere. Continuerò finche sentirò che questa energia c’è».

Sempre in «Sold Out» afferma che Solness è lei…

«Tutti i personaggi che ho fatto sono io. Qui prevale la mia figura, senza trucco. La scelta è quella di essere aperto. Nulla che fa Solness mi assomiglia, beninteso, ma tanto di quello che prova sì: l’andare oltre i limiti, i dubbi, le paure, i desideri».

Ma lei, al contrario di lui, si affida molto ai giovani.

«Forse per esorcizzar­e la paura della gioventù? Mi conforta che i giovani, per esprimersi, abbiano ancora bisogno di me».

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