«Antigone» partigiana contro la ragion di Stato
Massimiliano Civica è un regista che scrosta il teatro da tutti gli orpelli, portandolo a una nudità essenziale che gli fa colpire come lama il cuore e l’intelligenza. La sua cifra ricorda quella dei film di un asceta della macchina da presa come Robert Bresson. Gli spettatori bolognesi potranno avere un bel saggio della sua arte, premiata già tre volte con il premio Ubu alla regia, da oggi a domenica all’Arena del Sole con uno dei testi più famosi del repertorio, Antigone di Sofocle. Tragedia arcinota, la rimette in scena con alcuni tra i migliori attori della generazione di mezzo, quella che ormai va affermandosi, con Monica Piseddu, anche lei multipremio Ubu, nel ruolo principale; al suo fianco Oscar De Summa è Creonte, Monica Demuru Ismene e altri personaggi, Francesco Rotelli degli Omini la Guardia ed Emone, Marcello Sambati, un nome carismatico dell’avanguardia, Corifeo e Coro in frac.
Il primo intervento, evidente, di Civica è sulla recitazione: asciugata, portata a un parlar quotidiano che scava però le parole, le incide, facendo lumeggiare a poco a poco l’idea di fondo, di rendere nuova un’opera già tanto ascoltata, ritradotta, verso per verso, per due anni dallo stesso regista. Così Civica scopre che molte delle consuetudini interpretative non hanno fondamento, prima tra tutte quella che vorrebbe Antigone come eroina rivoluzionaria, contro lo status quo, come una tradizione risalente a Brecht e al Living Theatre ha accreditato.
E allora ci si rivela un’«altra» tragedia, in uno spazio quadrangolare austero, circondato dall’ombra, nel disegno luci di un altro premio Ubu, Gianni Staropoli: gli attori vi si celano per poi entrare nella zona illuminata nei personaggi e negli antichi conflitti intrecciati da Sofocle, con i costumi fortemente connotati di Daniela Salernitano. Spigolosa anche nel lanciare le battute, Antigone indossa abiti da sera, e così Ismene che addirittura potrebbe essere quella che ha buttato il primo velo di terra sul cadavere di Polinice, il fratello che ha combattuto contro lo Stato, investito dal divieto di sepoltura da parte del nuovo capo Creonte, là a Tebe dove si è consumato l’orrore della famiglia di Edipo, sposo della madre e fratello dei figli.
Le due sorelle sono figli di aristocratici, ci ricorda Civica, e invocano la legge della gens contro un ordine nuovo nato da un moto di rinnovamento. Non a caso Creonte sembra un comandante partigiano e il fantoccio del cadavere di Polinice allude a scontri civili che ancora oggi dilaniano le coscienze dell‘Italia. Fino a un finale dove il richiamo ai troppi fantasmi dissemina il campo di altre dolorose morti.