Caso Atlantide, assoluzione per le due attiviste Lgbt
Assolte perché il fatto non sussiste». Finisce così, cinque anni dopo, la tormentata vicenda dello sgombero di Atlantide, il centro sociale del Cassero di porta Santo Stefano. Due attiviste erano a processo per i reati di occupazione e danneggiamento, dopo che la allora presidente del Quartiere, unico amministrato dal centrodestra nella prima giunta Merola, Ilaria Giorgetti, aveva denunciato il collettivo che non abbandonò lo spazio dopo la scadenza della convenzione con il Comune. La vicenda, al centro di una dura battaglia tra maggioranza e opposizione, costò le deleghe anche all’allora assessore alla Cultura Alberto Ronchi. L’ex esponente della giunta, infatti, aveva avuto l’incarico dal primo cittadino di condurre la trattativa con il collettivo lgbt per il rinnovo della convenzione o comunque per l’affidamento di un altro spazio. Trattativa che si interruppe bruscamente con l’assessore silurato. Nel frattempo, la presidente di Quartiere Giorgetti, oggi candidata alle Regionali in Forza Italia, denunciò gli attivisti, mentre i residenti presentarono esposti in Procura per il mancato sgombero dopo la scadenza della convenzione. Anche il sindaco Virginio Merola fu indagato e archiviato per omissione di atti d’ufficio.
Il cassero fu sgomberato il 9 ottobre 2015 e «cinque anni dopo è ancora chiuso e abbandonato», fa notare l’avvocato Elia De Caro che ha difeso le attiviste sostenendo il diritto del collettivo a stare lì dentro in virtù della convenzione e della trattativa in corso con il Comune. Anche la pm Antonella Scandellari aveva chiesto l’assoluzione. Il Comune, dopo aver ordinato lo sgombero, non si è mai costituito nel processo. L’ex assessore Ronchi invece ha testimoniato per la difesa. «Sono soddisfatto che il giudice abbia riconosciuto che non era un’occupazione. Non c’era bisogno di sgomberare, ma Atlantide fu usata per un regolamento di conti nel Pd. Qualcuno si dovrebbe scusare”